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Canestro "diplomatico", l'Nba torna in Cina dopo sei anni: spettacolo, affari e una distensione fragile

Il disgelo della lega di pallacanestro passa anche per lo sport, grande passione dei cinesi

Redazione La Sicilia

01 Novembre 2025, 15:56

Canestro "diplomatico", l'Nba torna in Cina dopo sei anni: spettacolo, affari e una distensione fragile

Dopo sei anni di gelo, la Nba è tornata in Cina con le gare di precampionato disputate a ottobre a Macao tra Brooklyn Nets e Phoenix Suns. In un clima segnato da tensioni commerciali e dalla competizione tecnologica tra Washington e Pechino, il rientro del basket statunitense ha assunto il valore di un gesto di distensione, anticipando in qualche modo l’incontro di pochi giorni fa tra Donald Trump e Xi Jinping.

Un passaggio di forte valenza simbolica, che ha sancito la ripresa ufficiale dei rapporti tra la Cina e la lega professionistica americana dopo lo strappo del 2019. Fu proprio sei anni fa che un tweet di Daryl Morey, allora general manager degli Houston Rockets, a sostegno dei manifestanti di Hong Kong, scatenò una crisi diplomatica ed economica: partite annullate e accordi multimilionari congelati tra il mondo Nba e il gigante asiatico. Eppure, come ricorda Le Monde, lo sport difficilmente conosce confini. La lega non ha mai abbandonato del tutto il mercato cinese: grazie alla mediazione di Joseph Tsai, presidente di Alibaba e proprietario dei Brooklyn Nets, e della famiglia Adelson, storicamente vicina a Trump, la Nba ha orchestrato un rientro graduale.

Per Pechino, il beneficio è duplice: la ripresa degli eventi alimenta i consumi interni e rafforza l’immagine di apertura del Paese. Lo dimostra anche l’eco mediatica della visita estiva di Victor Wembanyama in un tempio shaolin dell’Henan, ampiamente rilanciata dai media locali. Con un bacino di appassionati stimato tra 300 e 450 milioni di persone, il basket in Cina supera perfino il calcio, attualmente in difficoltà. Secondo S&P Global, nel 2024 il 52% dei cinesi ha seguito almeno una partita Nba, contro il 23% negli Stati Uniti e il 10% in Europa.

I legami tra la pallacanestro americana e la Cina hanno radici lontane: già nel 1979 i Washington Bullets affrontarono selezioni locali, nel solco della normalizzazione voluta da Deng Xiaoping. Le Monde ricorda come nel 1985 David Stern cedette i diritti televisivi alla CCTV. “Era l’epoca benedetta di Michael Jordan e Magic Johnson. Molti cinesi smettevano di lavorare per vederli in tv”, ha spiegato Chris Petersen-Clausen, documentarista a Shanghai.

In seguito, Wang Zhizhi e poi Yao Ming portarono il sogno Nba oltre la Grande Muraglia, spesso cedendo una parte dei loro stipendi alle autorità cinesi. Nel 2025 il ventenne Yang Hansen, primo e unico giocatore cinese in Nba dal 2019, ha visto la sua gara d’esordio celebrata sulle pagine del China Daily.

A Pechino, nel quartiere di Wangfujing, sorge il più grande Nba Store al mondo fuori dagli Stati Uniti: un vero santuario dedicato a LeBron James, con statue, fotografie a grandezza naturale, maglie e sneakers da collezione. Prima di visitare le università di Tsinghua o di Pechino, molti studenti fanno tappa lì. “A volte la Nba in Cina sembra solo un altro marchio di abbigliamento di moda”, ha ammesso Petersen-Clausen.

La domanda resta travolgente: per l’ultima partita a Hangzhou, i biglietti da 228 euro sono andati esauriti in quattro secondi, per un “grande intrattenimento sportivo che sa riunire il mare blu e il mare rosso”, come annunciava l’organizzatore. Un ponte tra due colossi globali che, tuttavia, andrà percorso con cautela. La Cnn cita l’avvertimento dell’esperto Paul Argenti, della Tuck School of Business di Dartmouth: “C’è un disgelo ma un passo falso di un giocatore o un coach, un’osservazione superficiale come quella fatta da Morey, potrebbe riaccendere delle tensioni”.