Operazione Midas
Corruzione: perquisizioni negli uffici del capo di gabinetto di Zelensky in Ucraina svelano presunte tangenti da 100 milioni di dollari su Energoatom
Le autorità hanno puntualizzato che lo status di Andriy Yermak nell’inchiesta non è stato specificato
All’alba di una fredda mattina di Kiev, gli ascensori di un palazzo non lontano dal centro hanno depositato nel corridoio una squadra di investigatori con giubbotti recanti la sigla NABU. Portano con sé ordinanze, scatole per i sequestri, telefonini che fungono da body‑cam. I vicini aprono appena gli spioncini mentre i detective bussano: quei locali sono riconducibili a Andriy Yermak, il potente capo di gabinetto del presidente Volodymyr Zelensky. Non è una scena da fiction. È il frammento più visibile di un’indagine durata almeno 15 mesi, costruita su oltre 1.000 ore di registrazioni e più di 70 perquisizioni, che ha già portato all’incriminazione di otto sospetti e ricostruito un meccanismo di presunte mazzette pari al 10–15% del valore di ogni contratto. Un fiume di denaro, circa 100 milioni di dollari secondo gli inquirenti, che sarebbe transitato in un sistema di riciclaggio collegato alla filiera degli appalti della compagnia nucleare di Stato Energoatom.
Cosa sappiamo delle perquisizioni e del ruolo di Yermak
Secondo quanto comunicato dall’Ufficio nazionale anticorruzione ucraino (NABU) e dalla Procura speciale anticorruzione (SAPO), le perquisizioni nei locali riconducibili a Yermak rientrano in una più ampia operazione su presunti illeciti nella gestione degli appalti di Energoatom. Le autorità hanno puntualizzato che, allo stato, lo status di Yermak nell’inchiesta non è stato specificato. Lo stesso capo di gabinetto ha affermato di collaborare pienamente: gli investigatori “hanno avuto pieno accesso” e i suoi legali “stanno interagendo con le forze dell’ordine”. È un passaggio delicato, perché tocca l’inner circle presidenziale, ma rientra in un dispositivo investigativo che, per ampiezza, è considerato la più vasta operazione anticorruzione degli ultimi anni di guerra.
“Operazione Midas”: come funzionava la presunta tassa occulta
Gli atti d’indagine delineano uno schema che gli investigatori hanno battezzato “Operazione Midas”: un gruppo organizzato avrebbe “messo il cappello” sugli approvvigionamenti della più strategica tra le aziende statali, Energoatom, gestore del parco nucleare ucraino. L’accusa chiave è semplice, brutale e, se provata, devastante: gli appaltatori avrebbero dovuto pagare una percentuale tra il 10 e il 15% del valore dei contratti per lavorare senza intoppi o ottenere tempi di pagamento regolari. In caso contrario, il rischio era essere esclusi dalle gare o incappare in ritardi punitivi.
Gli investigatori sostengono che i proventi di questa “tassa occulta” sarebbero poi confluiti in un circuito di riciclaggio internazionale, un vero e proprio “lavatore” basato su una rete di società non residenti, con una contabilità parallela rigorosa. Si parla di circa 100 milioni di dollari transitati nel sistema, una cifra che per dimensioni e per il momento storico — il Paese subisce attacchi mirati all’infrastruttura energetica — ha un impatto politico e sociale enorme. Non a caso NABU ha sottolineato un aspetto di principio: “La gestione di un’impresa strategica con un fatturato annuo superiore a 4 miliardi di euro non era di fatto esercitata da funzionari, ma da soggetti esterni privi di autorità formale”. Se la ricostruzione fosse confermata, non si tratterebbe di storture marginali, bensì di una cattura privata di snodi decisivi delle forniture pubbliche.
I nomi che ricorrono e gli snodi istituzionali
Nella mappa degli indagati compaiono figure che gli inquirenti collegano tanto al Ministero dell’Energia quanto a Energoatom. Tra i nomi citati da media e documenti d’indagine figurano l’ex consigliere ministeriale Ihor Myroniuk e Dmytro Basov, già responsabile della sicurezza fisica di Energoatom: i due, secondo NABU, avrebbero esercitato un controllo di fatto sulle procedure di acquisto. Nell’orbita dell’inchiesta emerge anche il nome dell’imprenditore Timur (Tymur) Mindich, descritto come figura apicale del presunto gruppo: a lui viene attribuita un’influenza penetrante sulle scelte di personale, sulle gare e sui flussi finanziari. Diverse testate riferiscono che Mindich avrebbe lasciato l’Ucraina prima delle perquisizioni a suo carico.
Sul perimetro della politica, l’operazione ha lambito altri protagonisti della vita pubblica: fonti ufficiali e giornalistiche hanno segnalato perquisizioni e notifiche di sospetto a carico di più soggetti, tra cui un ex vicepremier e figure di vertice del settore energia. In totale, tra indagati e incriminati, gli atti parlano di almeno otto persone già formalmente colpite da provvedimenti, con cinque misure restrittive nelle prime fasi. È bene ricordare che vige la presunzione di innocenza: gli addebiti restano da provare in tribunale, e le posizioni potrebbero evolvere man mano che la SAPO chiude i diversi filoni.
Le intercettazioni: codici, soprannomi, denaro in contanti
Il materiale raccolto dagli investigatori — oltre 1.000 ore di audio, secondo NABU — compone un mosaico di conversazioni su aggiustamenti degli appalti, rotazioni di dirigenti, percentuali da riconoscere, strategie per gestire “problemi” con i pagamenti. In alcune trascrizioni rese pubbliche si fa riferimento a soprannomi e nomi in codice (una prassi classica delle reti corruttive), a consegne di contanti, a una sorta di “cassa” con registri accurati. Questo spaccato, se confermato in sede processuale, aiuterebbe a spiegare la resilienza di certi meccanismi: la corruzione sistemica non vive di singoli episodi, ma di una rete con funzioni ridondanti, che prevede intermediari, facilitatori, garanti.
Perché Energoatom è il cuore del problema
In un Paese la cui rete elettrica è ciclicamente presa di mira dai missili russi, Energoatom non è solo un’azienda: è un nervo vitale. Le sue centrali nucleari coprono una quota cruciale della produzione elettrica e, in condizioni di emergenza, sostengono la resilienza del sistema. Ogni gara, ogni fornitura di componenti, ogni lavoro di fortificazione contro i bombardamenti ha effetti diretti sulla sicurezza energetica di milioni di cittadini. Ecco perché l’accusa che la “tassa occulta” abbia inciso persino su interventi di protezione delle infrastrutture colpisce così duro: significa che, mentre la guerra impone priorità assolute, qualcuno avrebbe piegato il ciclo dei lavori — e dei pagamenti — a interessi privati.
Le reazioni politiche: tra cooperazione e pressioni
Sul piano politico, il governo ha tentato di muoversi su due binari. Da un lato, il presidente Zelensky ha sollecitato una cooperazione piena con i magistrati, ribadendo che i reati contro lo Stato e i beni pubblici non avranno sconti. Dall’altro, l’esecutivo ha annunciato un maxi audit su tutte le società statali e azioni di pulizia nei consigli di amministrazione: mosse che segnalano la volontà di disinnescare la critica, interna e internazionale, secondo cui le autorità anticorruzione sarebbero state in passato oggetto di interferenze e tentativi di ridimensionamento.
Il caso, del resto, arriva mentre Kiev insegue l’integrazione europea e la partnership finanziaria con gli alleati: due obiettivi che passano dalla credibilità del sistema di giustizia e dalla trasparenza degli appalti. La UE e i principali partner occidentali hanno ripetuto che riforme e risultati concreti nel contrasto alla corruzione restano condizioni decisive per l’avanzamento del dossier ucraino.