la storia
Un anno senza Margaret: una ferita che non si chiude
A dodici mesi dalla morte della giovane durante un intervento di rinoplastica a Roma, la famiglia ricordae chiede giustizia, affinché tragedie simili non accadano più
Margaret con i genitori Loredana e Giuseppe
Ventidue anni e un sogno semplice: sentirsi più sicura del proprio aspetto. Aveva deciso di sottoporsi a un intervento di rinoplastica in un ambulatorio medico di Roma, operazione considerata di routine, che invece si è trasformata in tragedia. La sua morte, diventata un caso nazionale, ha scosso familiari, amici e opinione pubblica, riaccendendo il dibattito sulla sicurezza degli interventi estetici. La vicenda invita a una riflessione più ampia sulla necessità di controlli e responsabilità nel campo della chirurgia estetica, dove il desiderio di cambiamento non dovrebbe mai mettere a rischio la vita.
È passato un anno dalla morte di Margaret Spada eppure la sua assenza continua a pesare come una ferita aperta nella vita di chi l’ha conosciuta. Dodici mesi lunghi e dolorosi, in cui le domande hanno spesso superato le risposte. Giuseppe e Loredana, papà e mamma di Margaret, con dignità e coraggio che li contraddistinguono, hanno accettato a rilasciare un’intervista a La Sicilia per ricordare la figlia e spiegare cosa significhi vivere dopo una perdita così grande. La loro voce è ferma, ma gli occhi parlano più delle parole. In quel dolore composto c’è tanta forza. E la memoria di una figlia che continua ad essere luce, a brillare. Ascoltare le loro parole non è solo un atto di empatia: è un modo per dare dignità a una storia che appartiene a tutti. Perché Margaret Spada non è solo una vittima: è una voce che chiede di essere ascoltata. La memoria è un dovere. Per chi resta. E per chi verrà dopo. Non dimentichiamo Margaret. Mai.
Chi era Margaret? Cosa la faceva ridere, arrabbiare, sognare?
«La nostra Margaret era una ragazza buona e amorevole. Amava la bellezza in tutte le sue forme, ma rimaneva sempre una persona semplice e umile. Era circondata dall’amore della sua famiglia e del suo Salvo, suo primo amore. Con lui ha condiviso dieci anni di un legame puro e sincero. Il suo sogno più grande era il matrimonio e a breve avrebbe ricevuto la tanto attesa proposta, proprio davanti al castello di Cenerentola a Disneyland. Ha vissuto 22 anni di felicità, realizzando i suoi desideri passo dopo passo. Lavorava in amministrazione in una Rsa per anziani: un impegno che affrontava con dedizione e responsabilità che la faceva sentire gratificata e realizzata. Era amata da colleghi, operatori e pazienti. Margaret era altruista, sempre pronta a offrire una parola di conforto a chi ne aveva bisogno. Amava gli animali, in particolare la sua gatta, “Principessa”, che accudiva con grande affetto. Serena e solare, non ricordiamo di averla mai vista arrabbiata: solo le ingiustizie riuscivano a turbarla. Avevamo un rapporto profondo di fiducia e dialogo. Dal giorno della sua tragica scomparsa, la nostra vita non è più la stessa. Eravamo una famiglia felice e non avremmo potuto chiedere di più. Con il nostro amore abbiamo cresciuto le nostre figlie insegnando loro valori e principi sani, e ne siamo sempre stati orgogliosi».
La morte di un figlio è un’esperienza che spezza la linea del tempo. Com’è cambiata la vostra vita da quel giorno?
«Da quando la nostra Margaret non è più con noi, portiamo dentro un dolore lancinante, una ferita che si riapre ogni giorno. Il tempo per noi si è fermato a quel tragico 7 novembre. Ci sentiamo vuoti, spenti. Nulla potrà restituirci la felicità di prima, né alcuna ricchezza materiale potrà lenire la sofferenza. Oggi viviamo per l’amore di nostra figlia Manuela e di Salvo, il fidanzato, che per noi è come un figlio. E viviamo per ottenere giustizia per Margaret, con fiducia nella magistratura e nel nostro legale, Alessandro Vinci, che ci accompagna in questo difficile cammino».
A quasi un anno di distanza, ci sono ancora dubbi o domande inevase?
«Dopo quasi un anno, ci sentiamo provati e amareggiati, ma continuiamo ad avere fiducia nella magistratura. Crediamo che la verità, prima o poi, emergerà completamente. È un percorso doloroso, ma confidiamo nel lavoro di chi è chiamato a fare giustizia per nostra figlia».
Nel bilancio di un anno, il dolore convive con la memoria e talvolta con la voglia di trasformarlo in azione. Cosa auspicate per il futuro?
«Il dolore è immenso, ma vogliamo trasformarlo in una forza che possa servire anche agli altri. Speriamo che la storia di Margaret contribuisca a rendere più sicuro il mondo della sanità, affinché tragedie simili non accadano più. Desideriamo che il suo nome possa ispirare una maggiore tutela dei pazienti e una maggiore attenzione alla professionalità e all’umanità in campo medico. Continueremo a confidare nella giustizia, con la speranza che tutto venga chiarito e che nessun’altra famiglia debba soffrire come noi».
Cosa chiedereste a chi oggi vuole onorare la memoria di Margaret?
«Vorremmo che Margaret fosse ricordata attraverso il bene. Chiediamo che il suo nome possa diventare simbolo di una legge o di un’iniziativa che tuteli maggiormente i pazienti e la loro sicurezza. Il nostro desiderio più grande è che la sua memoria possa trasformarsi in un impegno concreto, per evitare che altre famiglie conoscano il nostro stesso dolore».