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Il commento

Lo scioglimento dei comuni per mafia e l’urgenza di un correttivo alla normativa

Discrezionalità politica e democrazia sospesa: lo scioglimento di Paternò mette in luce l'urgenza di riformare l'articolo 143 del Tuel e di affidare a un organo giudiziario la valutazione delle infiltrazioni

Nino Di Guardo

28 Novembre 2025, 19:21

01 Dicembre 2025, 21:40

Lo scioglimento dei comuni per mafia e l’urgenza di un correttivo alla normativa

Il recente scioglimento per mafia del comune di Paternò ha riaperto ancora una volta il dibattito su questo delicato argomento. Alcuni gioiscono, altri gridano al complotto politico per l’avvenuto scioglimento. Essendo Paternò, come ha scritto il vicedirettore di questo giornale, Mario Barresi, la città con la maggiore quantità di potere per abitanti, in quanto è la città della seconda carica dello Stato e della seconda carica della Regione, il suo scioglimento ha destato molto interesse.

Conosco bene l’argomento sullo scioglimento per mafia dei comuni perché negli anni ho fatto decine di denunce, scritto libri e portato avanti, insieme all’associazione “Giù le mani dai sindaci”, infinite battaglie per chiedere di modificare l’articolo 143 del D.L. 267 del 2000 che disciplina la materia.

Detto articolo, infatti, attribuisce al potere politico (Prefetti e Consiglio dei Ministri) un’assoluta discrezionalità impedendo agli amministratori coinvolti di controdedurre alle accuse che sono state loro attribuite. Infatti, è il potere politico che decide di sciogliere a suo piacimento un comune oppure di chiudere un occhio, come è accaduto in tanti casi. Non per caso si sciolgono spesso tanti comuni piccoli e medi ma mai comuni grandi come ad esempio Roma e Bari. Ed è da chiedersi: perché sciogliere l’intero consiglio comunale se le accuse riguardano soltanto uno o alcuni amministratori? Chi ha sbagliato deve pagare e deve essere allontanato dalla vita politica e se responsabile è il sindaco, si indicano subito nuove elezioni facendo vivere la democrazia ed evitando così di affidare la guida del comune per 18 e spesso per 24 mesi a dei commissari prefettizi che, per loro indole burocratica, sono portati inevitabilmente a frenare la vita amministrativa.

Va notato che il Tribunale Civile - chiamato ad esprimersi sulle proposte di incandidabilità degli amministratori dei comuni sciolti per mafia, avanzate dal Consiglio dei Ministri su richiesta dei Prefetti - nella maggior parte dei casi da ragione agli amministratori, come è accaduto di recente nel comune di Palagonia dove il sindaco Salvatore Astuti è stato dichiarato candidabile e, dopo due anni dalla sua defenestrazione, si è ricandidato ed è tornato alla guida del suo comune con tutti gli onori.

La stessa vicenda è accaduta anni fa a Misterbianco con i giudici che hanno smontato la richiesta di incandidabilità avanzata dal Consiglio dei Ministri, piena di bugie e illazioni, dando ragione a noi amministratori e, dopo 24 mesi di commissariamento, nessuna denunzia è stata presentata a carico dei funzionari responsabili dei vari settori del comune.

Qualche mese fa avevo letto con soddisfazione, sempre su questo giornale, che il ministro degli Interni Matteo Piantedosi aveva dichiarato che “serve un’alternativa allo scioglimento per mafia dei comuni, valutando caso per caso, evitando il ricorso automatico alla decisione estrema se le infiltrazioni criminali non sono diffuse”.

Speravo tanto che le parole del ministro fossero seguite da fatti concreti ma, ad oggi, nulla è accaduto. Anche in Senato è stato proposto un disegno di legge dalla senatrice Tilde Minasi che chiede di modificare l’articolo 143 del Tuel. Nel testo depositato è specificato “come questa misura nata a tutela della collettività, in realtà sia una arma usata in modo distorto e che invece occorra recuperare lo spirito originario e centrale dello strumento, ovvero la lotta alla criminalità organizzata. Di fronte a casi di infiltrazioni mafiose in un’amministrazione comunale, etichettare l’intero comune mafioso rischia di compromettere la fiducia nelle Istituzioni e di ostacolare lo sviluppo economico e sociale del territorio. E’ indispensabile, piuttosto, individuare e distinguere le responsabilità individuali, evitando così che, a pagare per illeciti attribuibili a pochi amministratori, sia l’intera collettività”. Ma, purtroppo, neanche al Senato ancora nulla si è mosso.

E allora mi chiedo: non si può, prima dello scioglimento, far valutare il caso ad un organo terzo presieduto da un Giudice? Perché uccidere la democrazia e azzerare tutte le cariche democraticamente elette e non invece affidarsi ad un Organo Collegiale che può esprimersi rapidamente valutando le accuse e le difese come in tutti i procedimenti giudiziari?

La legge è uguale per tutti o si applica a discrezione dei politici che stanno ai vertici del governo?

È auspicabile che sia un Tribunale a valutare in tempi brevi gli amministratori sospettati e, accertata la colpa, li condanni; ma non si può bloccare un comune per due anni con l’invio di Commissari svilendo la democrazia.

Questa legge liberticida che, in nome di un’ipotetica lotta alla mafia, produce spesso l’effetto opposto uccidendo ingiustamente tanti comuni e mortificando la democrazia e lo stato di diritto, va finalmente modificata.

Forse è da riprendere il convincimento del grande Presidente Luigi Einaudi che invocava l’abolizione dei Prefetti perché sono uno strumento di potere che limita le autonomie locali e favorisce il centralismo.

Mi auguro che l’articolo di legge sopra richiamato venga radicalmente modificato perché è l’unica norma del nostro ordinamento giuridico che, senza possibilità di contraddittorio, consente al potere politico di agire in modo preventivo e arbitrario mortificando i comuni e il valore della democrazia e della libertà.

La lotta alla mafia, alla corruzione e al malaffare resta un obiettivo fondamentale per il nostro Paese, ma non è con questa normativa sbagliata e ingiusta che la si può portare avanti.