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Export in frenata, industria in apnea, turismo in spinta: la bussola per orientarsi in un’economia a più velocità

Dazi, cambio e investimenti pubblici ridisegnano il profilo della crescita italiana. Ma dietro i numeri si muovono forze diverse: manifattura sotto pressione, servizi trainati dagli arrivi dall’estero, e il PNRR che sostiene il ciclo degli investimenti.

Redazione La Sicilia

22 Dicembre 2025, 11:25

Export in frenata, industria in apnea, turismo in spinta: la bussola per orientarsi in un’economia a più velocità

Mentre i macchinari di una media impresa metalmeccanica del Nord-Est rallentano per la scarsa domanda estera e per un dollaro più debole, gli alberghi segnano l’ennesimo tutto esaurito di stranieri. È l’Italia a più velocità: manifattura in riadattamento, servizi in accelerazione, investimenti pubblici che fanno da puntello alla domanda interna. Dentro questa frattura corre la traiettoria del PIL e, soprattutto, le scelte che attendono imprese e policy maker nei prossimi mesi.

Il colpo d’occhio sui numeri: il trimestre che non ti aspetti

A ottobre 2025 la produzione industriale è tornata a calare di -1,0% su settembre, con un trimestre agosto-ottobre in flessione di -0,9%, e un contributo negativo diffuso tra i principali raggruppamenti, eccetto l’energia. La variazione tendenziale è -0,3%. È un segnale che riapre il cantiere sulla resilienza della manifattura in chiusura d’anno.

L’export ha segnato a ottobre una contrazione congiunturale di -3,0% (UE -2,8%, extra-UE -3,2%), chiudendo un bimestre autunnale con luci e ombre e prefigurando un quarto trimestre più debole. A distanza annua, però, l’export resta in lieve crescita (+2,3% in valore).

Sul versante degli investimenti, i conti trimestrali indicano nel terzo trimestre 2025 un aumento degli investimenti fissi lordi di +0,6% congiunturale, mentre a inizio anno il passo era stato più brillante (+1,6% nel primo trimestre): un profilo reso possibile anche dalla spinta dei cantieri del PNRR.

Intanto il turismo internazionale continua a sorprendere: nei primi sette mesi del 2025 le presenze estere hanno segnato +10,4% e la spesa degli stranieri dovrebbe avvicinarsi a 60,4 miliardi a fine anno, con un saldo turistico fortemente positivo nel primo semestre (+9,2 miliardi).

Quattro coordinate che non raccontano solo un trimestre: tracciano i margini della transizione in cui l’economia italiana è entrata sotto l’impatto di dazi USA, cambio e riallocazione della domanda globale dal bene al servizio.

Dazi e cambio: la doppia pinza sull’export in chiusura d’anno

La geografia dei mercati è cambiata. L’accordo UE-USA ha fissato un tetto di dazi al 15% sulla quasi totalità delle esportazioni europee (automotive compresa), spostando l’orizzonte competitivo di molte filiere italiane. In parallelo, il rafforzamento dell’euro ha sottratto benzina alla marginalità in dollari. Nella sua lettura d’autunno, il Centro Studi di Confindustria ha stimato un possibile calo di -16,5% dell’export verso gli Stati Uniti, imputando l’arretramento alla combinazione tra barriere tariffarie e dollaro debole (euro in apprezzamento a doppia cifra su base annua).

Il contesto di fine 2025 conferma la direzione: diverse case di investimento indicano un EUR/USD attorno a quota 1,16 sul breve, con traiettorie che vedono un ulteriore indebolimento del biglietto verde nel 2026. Per chi esporta in dollari e importa componenti in euro, il differenziale di cambio si traduce in un margine più sottile o in listini più alti e, quindi, in ordini più incerti.

Sul piano politico-commerciale, l’intesa tra Bruxelles e Washington ha sterilizzato scenari di tariffe ben più pesanti, ma non ha azzerato l’attrito. Le stime di impatto settoriale parlano di un costo potenziale di 7–8 miliardi sull’export italiano, con meccanica strumentale, chimico-farmaceutico e sistema moda tra i comparti più esposti. Per molte filiere premium, l’effetto non è solo aritmetico: il rischio è un lento “sfilacciamento” di quote di mercato, soprattutto dove la concorrenza locale offre tempi di consegna e service prossimitario.

Il dato Istat di ottobre (export -3,0% sul mese) fotografa una correzione che coinvolge sia l’UE sia l’extra-UE. Eppure, a livello tendenziale, la dinamica resta positiva, segno di un mix di prodotto che ancora regge nei segmenti a più alto valore aggiunto: farmaceutica (+18,5% annuo a ottobre) e metalli tra i contributori principali. La frizione si avverte soprattutto su beni ciclici e intermedi, dove il cambio si somma a una domanda globale meno dinamica.

Manifattura in altalena: dai picchi di settembre al freno di ottobre

Il cuore manifatturiero ha vissuto un autunno a scatti. A settembre 2025 la produzione era rimbalzata con forza, salvo arretrare in ottobre oltre le attese. Il saldo del trimestre resta debole: l’inerzia non basta per garantire un contributo positivo al PIL del quarto trimestre, come segnalano più analisi. La volatilità riflette ordini intermittenti, scorte ancora da ri-allineare e una domanda estera “a fisarmonica” che risente del clima commerciale.

Nel dettaglio, a ottobre l’unico raggruppamento in lieve espansione è l’energia (+0,7% su mese), mentre beni di consumo (-1,8%), strumentali (-1,0%) e intermedi (-0,3%) tornano in rosso. Tra i settori, spiccano le flessioni di chimica (-6,6% su anno), tessile-abbigliamento (-5,0%) e raffinazione (-4,6%), a testimonianza di una componente di ciclo che resta fiacca e di un costo del capitale che – pur in graduale allentamento – incide ancora sugli investimenti di capacità.

Se l’industria si ferma, il rischio è ricadere nella trappola della “crescita zoppa”: servizi e turismo possono sostenere il breve, ma non sostituiscono la funzione strategica della manifattura per produttività, export e salari. La riflessione è dirimente per il 2026: difendere i margini sull’estero richiederà più che tattiche di prezzo; serviranno upgrading tecnologico, integrazione di filiera e accesso al credito mirato.

Turismo: la grande eccezione che fa sistema

Mentre la fabbrica riduce i turni, il turismo macina record. Tra gennaio e luglio 2025, le presenze totali hanno raggiunto 268,4 milioni, con gli stranieri a 151,8 milioni (+10,4%), e una spesa estera che a fine anno è attesa a 60,4 miliardi. La bilancia dei pagamenti turistica del primo semestre segna +9,2 miliardi. Dietro i numeri emergono storie: Regno Unito, Germania, USA e Spagna come bacini principali; i collegamenti aerei in netta ripresa; il MICE che torna a popolare città d’arte e distretti fieristici.

Non si tratta di un’onda effimera. L’incoming internazionale mostra elasticità al prezzo più alta nelle fasce premium e esperienziali: enogastronomia in crescita strutturale, turismo open air in espansione, e un under 35 disposto a pagare un +10% per vacanze più sostenibili. È una domanda che spinge la filiera ben oltre l’hotellerie: trasporti, ristorazione, cultura, artigianato e perfino export agroalimentare (dove c’è correlazione tra marchi conosciuti all’estero e arrivi). Qui l’Italia gioca in casa, ma la sfida è difendere capacità, qualità del lavoro e decoro urbano in alta stagione.

Un caveat: il turismo è pro-ciclico e sensibile a fattori esogeni (sicurezza, sanità, geopolitica). E non “fa PIL” allo stesso modo ovunque: i benefici si concentrano in alcune regioni e città, con il rischio di lasciare scoperte aree interne e periferie industriali. Per trasformare la rendita in sviluppo servono infrastrutture, trasporti regionali e regole certe su affitti brevi e capienze.

PNRR: la diga degli investimenti (ma la velocità conta)

Il PNRR ha iniziato a pesare davvero sui cantieri e sui conti. Tra fine 2024 e estate 2025 la spesa è passata da circa 64 miliardi (33%) a oltre 79–86 miliardi, superando la soglia del 40–44% delle risorse e coprendo in otto mesi oltre l’80% delle previsioni di spesa per l’intero 2025. La componente più incisiva nei primi mesi dell’anno: la Missione 3 sulle infrastrutture per la mobilità sostenibile, trainata dagli investimenti ferroviari e Alta Velocità.

La fotografia della Corte dei conti resta prudente: obiettivi centrati nel 2024, ma spesa ancora sotto il potenziale; e differenze marcate tra missioni (più dietro istruzione, inclusione-coesione e salute). È un promemoria: la sfida non è solo “spendere”, ma spendere bene e trasformare gli euro in produttività e capacità. Da qui l’urgenza di semplificare, selezionare e dare priorità agli interventi con moltiplicatore più alto e filiere in grado di assorbire la domanda.

Che il PNRR stia sostenendo gli investimenti lo si vede nei conti: +1,6% nel primo trimestre, +0,6% nel terzo, con il PIL che nel terzo trimestre ha beneficiato anche di un contributo di +0,5 punti dalla domanda estera netta (export +2,6%, import +1,2%). La domanda pubblica di lavori, materiali e servizi ha fatto da “pavimento” in un anno in cui l’industria ha faticato a ritrovare stabilità.

Il cambio che (ri)scrive i margini

Un euro più forte non è un dettaglio contabile: è un cambio di scenario. Con EUR/USD attorno a 1,16 nelle proiezioni a tre mesi, chi vende in dollari e acquista input in euro vede ridursi il margine, a meno di hedging aggressivo o ritocchi di listino. Per filiere a bassa elasticità di prezzo (beni di lusso, alcuni beni d’investimento specializzati) il colpo è meno doloroso; per segmenti più commoditizzati, il rischio è perdere ordini a favore di concorrenti localizzati in aree a costo e cambio più amichevoli. La gestione del rischio cambio torna centrale: policy di copertura dinamiche, contratti in euro dove possibile, e filiere più integrate per ridurre l’esposizione a componentistica in valuta.

Dove l’export tiene (e dove cede)

Le mappe di Istat mostrano un ottobre con crescita tendenziale ancora positiva in valore (+2,3%), sostenuta da farmaceutica e metalli, e un arretramento congiunturale che colpisce sia UE sia extra-UE. Nel corso dell’anno l’export ha beneficiato di slanci selettivi: a luglio spiccano mezzi di trasporto (esclusi autoveicoli, +45,6%) e farmaceutica (+28,5%). In parallelo, i dati settoriali citati da Confindustria segnalavano già a fine 2024 un indebolimento per mezzi di trasporto (-17,3%) e TAC (-9,0%), con ordini esteri in raffreddamento. Il quadro è coerente con una domanda globale che seleziona più la qualità che il volume.

Domanda interna: consumi che respirano, investimenti che fanno la differenza

L’indice di fiducia a dicembre 2025 segnala un rimbalzo di imprese e famiglie, pur con manifattura ancora cauta. È un indizio utile, non una garanzia. Nel breve, la tenuta passa da due leve: investimenti e servizi. La prima è la leva più “macro”: i cantieri PNRR irrigano domanda in più territori, con un traino su edilizia, impianti, logistica e tecnologie per la transizione. La seconda è la leva più micro: il turismo e i servizi alle imprese, se ben connessi ai distretti produttivi, mitigano la volatilità dell’export e immettono liquidità nei sistemi locali.

La rotta possibile

La fotografia di fine 2025 non è monocromatica. L’industria arretra a ottobre, l’export sente il morso di dazi e cambio, ma l’economia non perde trazione ovunque: servizi e turismo spingono; gli investimenti – pubblici in primis – offrono un paracadute con effetti moltiplicativi. A breve, la partita si gioca su cambio, tariffe e esecuzione del PNRR; a medio, su produttività e scelte di posizionamento delle imprese.

Conterà la velocità, ma anche l’ordine di marcia: difendere le quote sull’estero che “pagano” salari e innovazione; trasformare il boom turistico in politiche di attrattività stabili; completare le infrastrutture che liberano capitale umano e capitale produttivo. È la strada stretta tra una domanda globale frammentata e un’Europa che cambia pelle. Ma è l’unica che può tenere insieme la coda al museo e la sirena della fabbrica.