rapporto svimez 2025
Negli ultimi tre anni al Sud 100mila nuovi posti di lavoro per under 35, ma sono più quelli che emigrano
Presentato oggi il rapporto annuale dell'Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno. Un documento ricco di dati aggiornati sull'economia. La Sicilia è la Regione che cresce di più: nel triennio +11,8%
Dal Rapporto Svimez 2025 emerge un Mezzogiorno che vive una stagione di forti contrasti: cresce come non mai l’occupazione, soprattutto tra i giovani, ma al contempo continua l’esodo che svuota il Sud di competenze e futuro. Tra il 2021 e il 2024, quasi mezzo milione di posti di lavoro è stato creato nel Mezzogiorno, spinto da PNRR e investimenti pubblici. Di questi 100mila sono nuovi posti di lavoro per giovani, ma dall'altra parte aumenta l'esodo, con 175mila under 35 che emigrano. La “trappola del capitale umano” si rinnova: la metà di chi parte è laureato; le migrazioni dei laureati comportano per il Mezzogiorno una perdita secca di quasi 8 miliardi di euro l’anno. I giovani che restano, troppo spesso, trovano lavori poco qualificati e mal retribuiti. Con i salari reali che calano, aumentano i lavoratori poveri: un milione e duecentomila lavoratori meridionali, la metà dei lavoratori poveri italiani, è sotto la soglia della dignità. Sono questi alcuni dei numeri contenuti nell'ultimo rapporto della Svimez, l'agenzia per sviluppo del mezzogiorno.
LA CRESCITA DEL PIL A SUD
Tra 2021 e 2024 il Prodotto interno loro del Mezzogiorno è cresciuto più di quello del Centro-Nord: +8,5% a Sud contro +5,8% del Centro-Nord. E la Sicilia è la Regione che cresce di più: nel triennio +11,8 per cento, nel 2024 +1,6%.
«A determinare questo scarto contribuiscono diversi fattori: la minore esposizione dell’industria meridionale agli shock globali; un ciclo dell’edilizia particolarmente favorevole legato prima al maggiore impatto espansivo degli incentivi edilizi, poi allo stimolo fornito dal PNRR; la chiusura del ciclo 2014-2020 della politica di coesione. A ciò si è aggiunta la ripresa del turismo e dei servizi, che ha rafforzato la domanda interna».
In particolare le costruzioni hanno fornito un contributo decisivo: +32% nel Sud contro +24% nel Centro-Nord. E poi il terziario +7,4% l’aumento medio in Italia dei servizi, che raggiunge il +7,8% nel Mezzogiorno (+7,3% nel Centro-Nord). La crescita non si è limitata ai servizi tradizionali. Crescono le attività finanziarie, immobiliari, professionali e scientifiche. In controtendenza rispetto al Nord, tra il 2021 e il 2024 il valore aggiunto dell’industria in senso stretto (manifatturiero, estrattivo, utilities) al Mezzogiorno è cresciuta del +5,7% (-2,8% nel Centro-Nord).
«La discontinuità positiva - sottolinea il rapporto - particolarmente significativa rispetto ai precedenti cicli economici è che il risultato del Sud è stato determinato dall’espansione della manifattura: +13,6% grazie alla nuova domanda per la componente manifatturiera della filiera dell’edilizia e alla crescita sostenuta di altri settori a specializzazione matura nel Mezzogiorno, in particolare dell’agroalimentare (+13,1%). Al contrario, il modello export del Nord mostra vulnerabilità: domanda tedesca debole, crisi delle produzioni energivore e riduzione della subfornitura». In definitiva, nel biennio 2023-2024 l’effetto espansivo del PNRR è valutabile in circa 0,9 punti di Pil nel Centro-Nord e 1,1 punti nel Mezzogiorno. Gli investimenti attivati dal Piano hanno di fatto scongiurato il rischio di una stagnazione della crescita italiana.
OCCUPAZIONE E GIOVANI
Tra il 2021 e il 2024 il Mezzogiorno ha registrato un incremento dell’occupazione pari all’8%, quasi 500mila nuovi posti di lavoro. Al Nord sono stati circa 900mila nello stesso periodo. Cresce l’occupazione giovanile, soprattutto nel Mezzogiorno. Nel triennio 2021-2024 gli under 35 occupati sono aumentati di 461mila unità a livello nazionale, di cui 100mila nel Sud. Il tasso di occupazione giovanile cresce più al Sud (+6,4 punti), ma resta molto più basso rispetto al Centro-Nord.
Nel Mezzogiorno, nel 2021-2024, sei nuovi occupati under 35 su dieci sono laureati, contro meno di cinque nel resto
del Paese. Tuttavia, la prima porta d’ingresso al lavoro rimane il turismo: oltre un terzo dei nuovi addetti giovani si
colloca nella ristorazione e nell’accoglienza, settori a bassa specializzazione e bassa remunerazione. Al tempo stesso, crescono i giovani laureati nei servizi ICT (Tecnologia dell'informazione e della comunicazione) e nella pubblica amministrazione, grazie al PNRR e alla riforma degli organici pubblici. «La qualità delle opportunità resta però insufficiente - denuncia Svimez - il mercato del lavoro meridionale continua a offrire sbocchi concentrati nei comparti tradizionali, con scarsa domanda di competenze avanzate».
Il problema resta il fatto che il Mezzogiorno non trattiene i giovani. Tra i due trienni 2017-2019 e 2022-2024 le migrazioni dei 25-34enni italiani sono aumentate del 10%: nell’ultimo triennio 135mila giovani hanno lasciato l’Italia e 175mila hanno lasciato il Sud per il Nord e l’estero. Un paradosso evidente: più lavoro ma non migliori condizioni di vita, né opportunità professionali adeguate alle competenze.
In particolare dalla Sicilia tra il 2022 e il 2024 sono andati via 44.303 giovani tra i 25 e i 34 anni, di cui 32.122 sono andati al Centro-Nord, altri 12.181 all'estero.
UNIVERSITA' E LAUREATI
L’Italia rimane in coda in Europa per quota di giovani laureati (30,6% contro 43% Ue). Tuttavia gli atenei meridionali attraggono più studenti e si riduce la migrazione ante-lauream, ma dopo la laurea il quadro torna critico: oltre 40mila giovani meridionali si trasferiscono ogni anno al Centro-Nord, mentre 37mila laureati italiani emigrano all’estero.
Con l’emigrazione di questi laureati, una parte del rendimento potenziale dell’investimento pubblico sostenuto per la loro formazione viene dispersa. Il bilancio economico di questo movimento è pesante: dal 2000 al 2024 il Mezzogiorno perde di investimenti 132 miliardi di euro di capitale umano, contro un saldo positivo di 80 miliardi per il Centro-Nord. Poli esteri che attraggono giovani italiani altamente formati, il Centro-Nord che perde verso l’estero, ma recupera grazie alle migrazioni interne di laureati da Sud, il Mezzogiorno che li forma e continua a perderli.
Aumenta l’attrattività delle Università del Sud che trattengono più studenti meridionali registrando livelli inediti sia per immatricolati lauree triennali (94 mila studenti, +2% anno procedente) che magistrali (45 mila studenti, +11% anno precedente). Si riduce la quota di immatricolati meridionali che si sposta verso il Nord: al 15% rispetto al 20% anni precedenti.
IL LAVORO DELLE DONNE
La partecipazione delle donne al mercato del lavoro rimane tra le più basse d'Europa, nonostante i segnali positivi registrati tra il 2021 e il 2024. Le donne studiano di più, si laureano prima e con voti più alti ma poi lavorano di meno e con salari più bassi: il 31% delle 25-34enni donne con titolo terziario rispetto al 21% uomini. Al Sud il tasso di occupazione delle madri con tre o più figli si attesta poco sopra il 30%. Il tasso di occupazione femminile, pur in crescita, è ancora lontano dagli standard europei e presenta forti divari tra Centro-Nord e Mezzogiorno.
Inoltre, prosegue il rapporto, la condizione familiare incide profondamente sulla partecipazione femminile al lavoro. Nel 2024, ad esempio, le donne senza figli registrano i tassi di occupazione più elevati (63,6% a livello nazionale), con forti divari territoriali tra Nord (71%) e Mezzogiorno (45,8%). Tra le madri, le differenze si accentuano: nel Sud l'occupazione delle donne con uno o due figli è molto bassa (41,8% e 43,6%), mentre crolla al 30,8% per chi ha tre o più figli, segno del peso crescente del lavoro di cura in contesti poveri di servizi. Il confronto europeo mostra un gap ancora più ampio: l'Ue, evidenzia ancora lo Svimez, mantiene tassi elevati anche tra le madri, con differenze minime rispetto alle donne senza figli, e nei paesi nordici l'occupazione femminile resta molto alta grazie a un welfare più solido.
I SALARI
I salari reali sono in calo, soprattutto nel Mezzogiorno. Dal 2021 al 2025 i salari reali italiani hanno perso potere d’acquisto, con una caduta più forte nel Sud: -10,2% contro -8,2% nel Centro-Nord. Inflazione più intensa e retribuzioni nominali più stagnanti accentuano il divario.
La quota di lavoratori poveri è aumentata rispetto all’anno precedente, tocca nel 2024 il 19,4% nel Mezzogiorno, quasi tre volte il valore del Centro-Nord (6,9%). In Italia i lavoratori poveri sono 2,4 milioni, di cui 1,2 milioni al Sud. Tra il 2023 e il 2024 aumenta il numero dei lavoratori poveri: +120mila in Italia, +60mila al Sud. Non basta avere un’occupazione per uscire dalla povertà: bassi salari, contratti temporanei, part-time involontario e famiglie con pochi percettori ampliano la vulnerabilità.
IL PNRR
Il PNRR destina 27 miliardi di opere pubbliche al Sud. Tre cantieri su quattro sono in fase esecutiva al Sud, in linea
con il dato del Centro-Nord. Il 25% dei progetti al Centro-Nord è già alla fase del collaudo; il 16,2% al Mezzogiorno. Grazie agli investimenti del PNRR, i Comuni del Mezzogiorno stanno realizzando un miglioramento nei servizi educativi per l’infanzia e per la scuola. I primi risultati sono già visibili: crescono i posti negli asili nido pubblici e aumenta la quota di alunni che frequentano scuole dotate di mensa, due indicatori fondamentali del diritto di cittadinanza all’istruzione. Già nel 2025, lo stato di avanzamento delle opere fa registrare un avvicinamento nell’offerta pubblica di asili nido tra le due macro-aree. Se entro il 2026 tutte le opere dovessero essere completate, si giungerebbe a un sostanziale riequilibrio di offerta pubblica tra Nord e Sud. Ma a fine PNRR, Campania e Sicilia ancora lontane dal raggiungimento del LEP del 33% (inclusivo dell’offerta privata).
Resta tuttavia da verificare la sostenibilità nel tempo di questo miglioramento, legata alla capacità di garantire continuità gestionale e copertura finanziaria per la spesa corrente. Aumentano significativamente anche le scuole della primaria dotate di locale mensa. La percentuale di alunni che le frequentano passa dal 19,2% del 2019 al 31,6% del 2023 al Sud.
«A partire da questa eredità, la vera sfida è consolidare questi segnali positivi in un percorso di sviluppo duraturo, che renda il diritto a restare pienamente esercitabile e la decisione di partire una scelta, non una necessità. Occorre agire su quattro leve: potenziare le infrastrutture sociali e garantire i servizi oltre il PNRR; rafforzare i settori a domanda di lavoro qualificata; puntare sulla partecipazione femminile nel mercato del lavoro, nel sistema della ricerca e nella sfera politica e decisionale, dove rivestono un peso ancora marginale; investire sul sistema universitario come infrastruttura di innovazione».
L'AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Svimez evidenzia che siamo davanti a «una contraddizione nelle politiche pubbliche italiane». Da una parte «il PNRR è stato concepito per ridurre i divari territoriali, migliorare i servizi essenziali e rafforzare la capacità amministrativa delle aree più fragili, soprattutto nel Mezzogiorno. Allo stesso tempo, però, il Governo porta avanti le pre-intese sull’autonomia differenziata, che rischiano di aumentare le disuguaglianze, sottraendo risorse e competenze condivise e frammentando i diritti di cittadinanza. Così - continua l'Agenzia - una riforma nata per ricucire il Paese si sovrappone a un’altra che può accentuarne le fratture. Senza un quadro unitario, gli effetti positivi del PNRR rischiano di indebolirsi proprio ora che stanno emergendo. La contraddizione è ancora più evidente perché il PNRR include tra le sue riforme la revisione organica del federalismo fiscale, pensata per garantire livelli essenziali delle prestazioni uniformi e ridurre i divari. L’autonomia differenziata va nella direzione opposta e rischia di compromettere l’efficacia stessa del Piano».
LE MAFIE
Le indagini degli ultimi anni confermano un quadro ormai strutturale: le mafie investono sempre più nell'economia legale. L'analisi SVIMEZ-Guardia di Finanza sui reati economici dal 2010 al 2024 evidenzia un dato chiave: 61,4 miliardi di euro riciclati, secondo gli accertamenti delle Fiamme Gialle. La geografia del fenomeno sorprende solo in parte: 29,8 miliardi al Nord, 20,3 miliardi al Centro, e 11,3 miliardi nel Mezzogiorno. Oltre l'80% dei capitali sporchi trova quindi sbocco nelle regioni più ricche, in particolare Lazio, Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte.
Sempre nello stesso periodo, il Nord guida anche per numero di denunce per riciclaggio - reato spia delle infiltrazioni nell'economia legale - con 14.375 segnalazioni, contro 10.307 del Centro e 11.847 del Sud. Un segnale della crescente capacità delle organizzazioni criminali di spostare e investire altrove i propri capitali, seguendo le opportunità dei mercati più dinamici. Nel Mezzogiorno, invece, la presenza mafiosa continua a manifestarsi soprattutto nel controllo del territorio. L'usura resta il reato più indicativo: 2.739 denunce al Sud, a fronte di 1.175 nel Centro e 1.401 al Nord. Un divario che riflette il radicamento storico delle principali organizzazioni criminali nelle regioni di origine, dove l'intimidazione e la ''reputazione sociale'' continuano a garantire potere e consenso.