La frutta esotica conquista fasce sempre più ampie di consumatori italiani e la proposta sugli scaffali di mercati e supermercati si arricchisce per varietà e quantità, con prezzi via via più accessibili.
Il fenomeno riguarda mango, papaya, ma anche kiwi, ananas, pompelmo, frutto della passione, avocado e, più di recente, la banana. Prodotti un tempo rari, poco richiesti e quasi esclusivamente importati, oggi compaiono con maggiore frequenza sul mercato.
La nuova scommessa degli ultimi anni è coltivarli anche in Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, dove le condizioni climatiche ne favoriscono lo sviluppo. Tra sperimentazioni in campo e coltivazioni in serra, i progetti si moltiplicano. La conferma arriva da Coldiretti.
«La tendenza al consumo di frutta esotica c’è con un’attenzione maggiore del consumatore che, alle volte, si avvicina a determinati prodotti per ragioni dietetiche, di conseguenza la produzione italiana è in crescita anche se non si può parlare di boom di frutta tropicale made in Italy», afferma Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti, interpellato dall’Adnkronos.
L’associazione stima che, ad oggi, nel Paese siano coltivati tra 1.200 e 1.500 ettari, soprattutto nel Sud, in Sicilia, Calabria e Puglia. Spinti da condizioni meteo più favorevoli, molti agricoltori stanno testando nuove colture.
«Chi oggi coltiva banane ha iniziato con un pezzettino di terreno, cercando di capire quali sono le esigenze e ha scelto le varietà che riteneva più adatte, poi magari ha cominciato ad aumentare un po’ la superficie, infatti bisogna verificare che le varietà che arrivano dall’estero siano adattabili ai nostri terreni, alla disponibilità idrica, al nostro clima che sta cambiando. Sono comunque produzioni di nicchia, però le banane italiane ci sono», osserva Bazzana.
Sulla notizia che il colosso svizzero Chiquita stia avviando una produzione in Sicilia, in biologico e tramite una cooperativa italiana, il dirigente di Coldiretti avverte: «La preoccupazione più grande è quella del prezzo. Le banane sono il secondo frutto più consumato dagli italiani; al primo posto ci sono le mele, al terzo le arance, e viene da chiedersi, visto che le banane molto spesso sono vendute a un prezzo che è inferiore all’euro, a 0,99 €/kg, se Chiquita venga a produrre qui un prodotto che sia basato su fondamenta solide, con la giusta remunerazione di chi produce e con una filiera etica».
«Per quanto riguarda l’avocado e il mango l’offerta è sicuramente più strutturata, come anche per lo zenzero e le bacche di Goji», prosegue l’esperto.
Diverso il discorso per l’ananas: «La coltivazione non è esattamente semplicissima. Non è quasi possibile, si può ottenere qualcosa in serra, ma per il momento non c’è a livello professionale».
Analogo il caso della papaya, ricca di vitamina C, fibre e antiossidanti: «Al momento vengono fatti tentativi però dipende sempre dai costi di produzione perché io posso mettere una serra ipertecnologica e mettermi a coltivare ma poi bisogna vedere se conviene farne un’attività professionale».
E sul pompelmo: «Il pompelmo in genere viene da Israele. Abbiamo una coltivazione abbastanza ridotta tra la Sicilia e la Calabria e qualcosa in Liguria, ma in questo caso le difficoltà sono legate più a una questione di royalties: ci sono varietà di cui bisogna pagare il brevetto e magari costano troppo».
Non solo frutta, ma anche ortaggi esotici, spesso legati all’arrivo in Italia di lavoratori stranieri. «Indiani, pakistani, popolazioni orientali che si portano dietro la tradizione di certi prodotti, come ad esempio il cavolo cinese», sottolinea Bazzana. «Poi si sviluppa un mercato con una determinata richiesta in base a un flusso di import dall’estero. Un fenomeno che è accaduto con i germogli di soia e i germogli più in generale, una vera e propria moda, tanto che ora si trovano anche germogli made in Italy».