Il libro
"Strage di Ferragosto": la storia di Alaa Faraj, il «trafficante perfetto»
"Perché ero ragazzo” (edito da Sellerio) racconta la storia del giovane calciatore graziato oggi dal presidente Mattarella
Alaa Faraj, Alessandra Sciurba e Don Ciotti lo scorso 16 dicembre a Catania
Che il prezzo dell’innocenza, quando allo Stato serve un colpevole, sia spesso pagato dai più fragili, è stato il tema al centro dell’incontro che si è tenuto martedì 16 dicembre, alle ore 18 nella Chiesa di Santa Chiara a Catania, dedicato al volume "Perché ero ragazzo” (Sellerio) di Alaa Faraj. Il giovane, oggi 30enne, ha ricevuto la grazia dal presidente Mattarella. Ma solo pochi giorni fa la sua presenza dipendeva ancora dall’autorizzazione delle autorità. Moderato da Emiliano Abramo, presidente della Comunità di Sant’Egidio di Catania, l’evento ga visto la partecipazione del magnifico Rettore dell'Università di Catania, Enrico Foti, della giornalista Daria Bignardi, di Don Luigi Ciotti, di Felice Lima, di Alberto Andronico e della curatrice Alessandra Sciurba. A leggerne estratti l’attore Corrado Fortuna.
L'argomento è delicatissimo e sono tantissime le persone note che stanno impegnandosi per far luce su ipotesi non considerate, perché poco si crede alla colpevolezza di Alaa Faraj. La storia di Faraj, unico sopravvissuto al naufragio costato la vita a 49 persone, riporta alla memoria altri casi, su scala mondiale, in cui la verità giudiziaria ha dato l'impressione di cercare scorciatoie per accorciare i tempi: vedi ad esempio il caso Chico Forti o il riaperto caso di Garlasco, dove all'accusato colpevole Stasi, adesso subentra l'ipotesi Andrea Sempio. In queste vicende emerge una costante: quando serve chiudere rapidamente un caso, si individua il colpevole “funzionale”, spesso il più vulnerabile. Il libro di Faraj dunque è l’autopsia morale di un sistema che, davanti alla tragedia, preferisce sacrificare chi non ha difese.
Accusato di essere il “trafficante perfetto”, Faraj diventa il bersaglio ideale: straniero, giovane, solo, facilmente modellabile in un ruolo che permette allo Stato di presentare una verità semplice e rassicurante.
Il potere – suggerisce il libro – quando deve dare risposte immediate, non cerca soluzioni ma figure da sacrificare. Ma vi sono papabili responsabilità reali annidate altrove: tra rotte ignorate e accordi internazionali, nei soccorri tardivi, nella necessità politica di mostrarsi inflessibili. Faraj non costruisce una narrazione manichea, mostra piuttosto istituzioni, che, incapaci di gestire la complessità, scelgono procedure celeri senza prove cristalline. “Perché ero ragazzo” è un atto d’accusa potentissimo che denuncia la violenza invisibile che trasforma un sopravvissuto in colpevole e lascia una domanda inquietante: Se uno Stato può punire un innocente pur di avere un responsabile, quanto siamo davvero al sicuro?
di Salvatore Massimo Fazio
