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Bronzi di Riace, lo studio che riapre il mistero: origine siracusana e recupero in fondali profondi a Brucoli

Nuove prove scientifiche a sostegno dell'ipotesi siracusana: analisi di patine, concrezioni e testimonianze indicano che le statue giacquero per oltre duemila anni a 70–90 m

21 Dicembre 2025, 12:56

Bronzi di Riace, nuovo studio riapre la pista siciliana (più volte riportata da La Sicilia):  sono stati per due millenni in fondali differenti

Un teatro comunale con oltre cinquecento spettatori in platea e nei palchi, ha fatto da cornice alla presentazione dello studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Italian Journal of Geosciences (IJG), col quale diversi specialisti, provenienti da più università, e coordinati dagli studiosi Anselmo Madeddu e Rosolino Cirrincione, hanno prodotto nuove evidenze scientifiche sulla ipotesi siracusana dell'origine dei Bronzi di Riace. Nutrito anche il parterre delle autorità che hanno portato il loro saluto, dal sindaco Francesco Italia al dirigente generale dell'assessorato regionale Beni Culturali Mario La Rocca, alla commissaria dell'Asp Chiara Serpieri.

L'ipotesi siracusana trae spunto dai lavori degli archeologi americani Holloway (secondo il quale le statue vennero prima ritrovate nel mare siciliano e poi trasportate clandestinamente a Riace da archeotrafficanti), e McCann, la prima a sostenere che i due Bronzi rappresentassero i Dinomenidi. L'ipotesi è stata poi sviluppata da Anselmo Madeddu col libro Il mistero dei Guerrieri di Riace: l'ipotesi siciliana (Algra Editore), bestseller dell'anno nel suo settore, ed è balzata agli onori delle cronache per via delle rivelazioni di alcuni testimoni (ad oggi otto) secondo i quali le due statue sarebbero state recuperate da esperti palombari già alla fine degli anni '60 in fondali molto profondi (oltre 70 m.) a Brucoli, insieme ad altre statue, e poi nascoste e rivendute ad archeotrafficanti calabresi.

Da qui l'idea di Madeddu e Cirrincione di costituire un gruppo di ricerca multidisciplinare di 15 specialisti (archeologi, geologi, paleontologi, archeometri), in gran parte ordinari e associati provenienti da 6 università (Catania, Ferrara, Cagliari, Bari, Pavia e Calabria), con l'obiettivo di studiare la solidità scientifica dell'ipotesi. Secondo questo studio le celebri statue sarebbero state fuse in 14 sezioni in una officina di Sibari per poi essere saldate e collocate nell'antica Siracusa dei Dinomenidi. Tramite l'analisi delle patine e delle concrezioni presenti sulla loro superficie, inoltre, lo studio ha dimostrato che i due capolavori dovettero sostare nei bassi fondali di Riace (8 metri) pochi mesi appena, e sarebbero, invece, giaciuti per oltre duemila anni in fondali molto più profondi (70-90 m.) e pienamente compatibili con quelli di Brucoli.

Ad aprire la serata è stato Anselmo Madeddu, al quale il numeroso pubblico presente ha tributato una lunga standing ovation. Il medico e studioso siracusano ha catturato l'attenzione generale, spiegando la genesi della sua intuizione e tutte le tappe che lo hanno portato a consolidare scientificamente tale ipotesi. Quindi, attraverso uno straordinario mosaico indiziario di fonti storiche, rilievi archeologici ed evidenze archeometriche, ha illustrato la sua ipotesi ricostruttiva fino all'evento che dovette causare il naufragio delle statue lungo la costa ionica siciliana: il saccheggio romano di Siracusa del 212 a.C. E' stata poi la volta di Rosolino Cirrincione, direttore del dipartimento di Geologia dell'università di Catania, che ha illustrato le metodologie di ricerca e ha presentato il gruppo di lavoro. L'archeologa Rosalba Panvini si è quindi soffermata sulla figura dei Dinomenidi, i più probabili committenti delle due statue. Carmelo Monaco, ordinario di Geologia, si è poi soffermato sull'inquadramento geologico dell'area dei Pantanelli, mentre Rosalda Punturo e Carmela Vaccaro, rispettivamente docenti delle università di Catania e di Ferrara, hanno illustrato la sorprendente corrispondenza tra le terre di saldatura delle statue e quelle prelevate nella foce dell'Anapo.

Molto apprezzato anche l'intervento del professor Stefano Columbu, docente di risorse minerarie all'università di Cagliari. Partendo da dati di letteratura, e soprattutto dagli storici lavori pubblicati da Mello, uno dei pochi ad aver analizzato le concrezioni e le patine prelevate dai Bronzi al momento del primo restauro, Columbu ha dimostrato come sulla superficie delle statue si fossero attaccati un primo strato di cuprite e un secondo strato di solfuro di rame che, per formarsi, necessitano entrambi di ambienti marini riducenti e fortemente anaerobi, ovvero poveri di ossigeno. Condizioni che si realizzano soltanto a profondità elevate, tra i 70 e i 90 metri di profondità. Sempre all'alta profondità inoltre sono collegate le croste calcaree di coralligeno rilevate al momento del restauro. Questi tre strati, secondo Columbu, sarebbero legati, dunque, a una bimillenaria deposizione in fondali molto profondi e ben diversi da quelli calabresi, mentre sono riconducibili ai bassi fondali di Riace, e una deposizione molto più breve (pochi mesi), le patine di corrosione di cloruro di rame e le concrezioni ghiaiose più esterne, legate a un ambiente marino fortemente ossigenato e ossidante. Ciò significa che le statue sarebbero rimaste per più di duemila anni in fondali profondi tra i 70 e 90 metri e che poi sarebbero state prelevate e deposte nei bassi fondali di Riace solo pochi mesi prima del loro ritrovamento (16 agosto 1972).

Alle stesse conclusioni è giunta Rossana Sanfilippo, docente di Paleontologia dell'università di Catania, che grazie sempre a una revisione dei dati di letteratura e agli ingrandimenti ad alta definizione delle foto delle statue al momento del recupero nel 1972 (e dunque prima del restauro), ha rilevato nelle parti meno accessibili la presenza di serpulidi circalitorali legati a un genere (serpula Lobiancoi) che vive solo in condizioni di sciafilia, ovvero di scarsezza di luce, e ad elevate profondità. Grande interesse ha suscitato pure l'intervento di Giovanni Scicchitano, docente di Scienze Marine all'università di Bari, che ha dimostrato come l'intenso idrodinamismo presente nei bassi fondali di Riace risulti del tutto incompatibile con l'eccezionale stato di conservazione delle statue.

Interessante anche l'intervento del sub Fabio Portella, ispettore onorario della Sovrintendenza del Mare, che oltre a descrivere la ricchezza di relitti e di antichi reperti archeologici del mare di Brucoli, ha colto l'occasione per comunicare il ritrovamento di un aereo C47 americano della seconda guerra mondiale proprio nell'area indicata dai testimoni.

Molto apprezzati anche gli interventi da remoto dell'archeologo Luigi Malnati, già direttore del ministero dei Beni Culturali e di Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, che hanno pienamente sostenuto l'ipotesi siracusana, nonché gli interventi di Federico Rossetti dell'università Roma Tre e dell'archeologo Saverio Scerra. A concludere la serata il dibattito sull'archeomafia tenuto magistralmente dall'archeologo Lorenzo Guzzardi e dalle giornaliste Laura Valvo (La Sicilia), autrice dell'inchiesta giornalistica sugli otto testimoni del ritrovamento dei Bronzi a Brucoli e Dania Mondini (TG1), autrice del seguitissimo Speciale TG1 dello scorso 4 maggio che ha finito per scoperchiare il vaso di Pandora sulla vicenda Bronzi.

Prima dei saluti finali il direttore generale dell'assessorato regionale Beni Culturali Mario La Rocca, proprio per la solidità scientifica delle prove illustrate dagli autori dello studio, ha annunciato che la Sovrintendenza del Mare della regione Sicilia avvierà una campagna di prospezioni sottomarine nei fondali di Brucoli.