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Il caso

Il calciatore libico condannato a 30 anni per strage come scafista: la storia di Alaa Faraj, graziato da Mattarella

Giudicato colpevole per le 49 morti della "strage di Ferragosto" del 2015, dopo dieci anni è un uomo libero. Anche grazie alle prese di posizione di Don Ciotti e della docente palermitana Alessandra Sciurba

Leandro Perrotta

22 Dicembre 2025, 18:35

20:38

Il calciatore libico condannato a 30 anni per strage come scafista: la storia di Alaa Faraj, graziato da Mattarella

Abdelkarim Alla F. Hamad (foto di Rori Palazzo)

Abdelkarim Alla F. Hamad, noto come Alaa Faraj, è nato nel 1995: quando è arrivato a Lampedusa nel 2015 non ne aveva nemmeno 20. Da allora ha passato il suo tempo nelle carceri italiane e nelle aule di tribunale: di quel viaggio da incubo, avvenuto a ferragosto, fu uno dei 313 sopravvissuti: i morti, asfissiati nella stiva di quel barcone proveniente dalla Libia, sono stati in totale 49. E nei vari processi il giovane, che sognava di diventare calciatore, è stato ritenuto tra i colpevoli di quella strage. È stato condannato alla pena complessiva di trenta anni di reclusione per delitti di concorso in omicidio plurimo e violazione delle norme sull’immigrazione. Per anni il suo caso giudiziario è stato al centro di battaglie di varie organizzazioni umanitarie contro l'intero quadro accusatorio, basato su testimonianze raccolte a sbarco avvenuto.

Per quei fatti otto persone sono state arrestate e condannate per omicidio plurimo e traffico di esseri umani. Tra questi, il marocchino Beddat Isham, il siriano Jarkess Mohannad, il libico Assayd Moahmed, il tunisino Couchane Moahmed Ali, il marocchino Saaid Mustaphaci e tre giovani calciatori delle speranze di Bengasi: Jomaa Laamami Tarek, Abd Al Monssif Abd Arahman e appunto Alaa Faraj.

La decisione di Mattarella

Oggi il presidente Mattarella ha concesso ad Abdelkarim Alla F. Hamad la grazia parziale: ha estinto una parte della pena detentiva ancora da espiare. Il Capo dello Stato ha tenuto conto del parere favorevole del ministro della Giustizia, della giovane età del condannato al momento del fatto, della circostanza che nel lungo periodo di detenzione di oltre dieci anni sinora espiata dall’agosto del 2015, lo stesso ha dato ampia prova di un proficuo percorso di recupero avviato in carcere, nonché del contesto particolarmente complesso e drammatico in cui si è verificato il reato. Ciò è stato evidenziato anche dai giudici della Corte d’appello di Messina i quali hanno sottolineato la necessità di «ridurre lo scarto indubbiamente esistente tra il diritto e la pena legalmente applicata e la dimensione morale della effettiva colpevolezza».

Le immagini del documentato "Fuocammare"

Le immagini di quella strage sono ben impresse nella memoria collettiva anche per via del film "Fuocammare", documentario di Gianfranco Rosi vincitore dell'Orso d'oro a Berlino. Il caso è stato riassunto da Alessandra Sciurba, docente dell'università di Palermo e attivista, che ha pubblicato il libro "Perché ero ragazzo" (Sellerio) sulla vicenda. «Alà — scrive Sciurba — in Libia era un famoso calciatore e studiava ingegneria. Quando è scoppiata la guerra ha provato a raggiungere l’Europa per continuare a studiare e giocare. In assenza di canali di ingresso legali, hanno dovuto pagare i trafficanti, come tutti, per salvarsi la vita».

«Il sogno però si è trasformato in un incubo perché nella stiva del barcone erano state stipate dai trafficanti decine di persone a loro insaputa. In quanto libici, sulla base di pochissime testimonianze raccolte sotto shock e mai più ascoltate, Alà e i suoi compagni sono stati condannati a 30 anni. Ci sono testimoni pronti a confermare che in quella barca non c’era equipaggio, che questi condannati erano semplici passeggeri, che Alà ha vomitato per tutto il tempo».

A giugno la Corte di cassazione aveva rigettato la richiesta di revisione del processo. Un atto che, come detto da Don Luigi Ciotti, richiedeva «un supplemento di ricerca di giustizia per questi giovani ragazzi partiti solo per continuare a vivere».

A Catania lo scorso 16 dicembre

La vicenda si è quindi conclusa con la grazia concessa da Mattarella, ma Alaa Faraj era stato già protagonista di un incontro pubblico a Catania per la presentazione del libro, lo scorso 16 dicembre nella chiesa di Santa Chiara. Sciurba riporta le parole di chi lo ha sostenuto: «Il rettore Enrico Foti ha parlato di "innocenza tradita"; il magistrato Felice Lima ha ammonito che la giustizia non deve diventare strumento di oppressione; Daria Bignardi ha descritto il libro come un romanzo di formazione; Don Luigi Ciotti ha ribadito che Alaa è il "nome di un innocente".

Il post si concludeva così: «Ora sei di nuovo in una prigione fisica, ma la libertà non è mai una questione materiale». Adesso non c'è più quella la prigione fisica.

Alaa Faraj, la docente Alessandra Sciurba e don Luigi Ciotti fondatore di Libera

Emiliano Abramo, presidente della Comunitò di Sant'Egidio Sicilia, commenta così la notizia della grazia: «Le grandi cose si fanno insieme. Alaa ha suscitato dalla sua cella dell'Ucciardone un movimento di gente assetata di giustizia. Un urlo che ha raggiunto il presidente Della Repubblica che ha detto "Giustizia!". Questa notizia che attraversa le carceri vivere ancora forte il giubileo della speranza voluto da Papa Francesco».

Il tentativo di "scambio" dalla Libia

In questi anni, come ricostruito dall'Ansa, a nulla sono valse le tesi discusse nel processo dagli avvocati della difesa che hanno sempre sostenuto l’innocenza del giovane e il tentativo, fallito, delle autorità di Bengasi che cinque anni fa proposero all’Italia lo scambio dei tre amici condannati, tra cui Abdelkarim - ritenendo ingiusta la condanna - con i 18 pescatori che erano a bordo di due pescherecci di Mazara del Vallo (Trapani) sequestrati dai libici perché avrebbero pescato in acque di loro competenza.
Dopo dieci anni in carcere Abdelkarim può ricominciare a vivere: il libico è tra i cinque destinatari del decreto di grazia firmato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella.
All’insaputa della famiglia Alaa Faraj pagò mille euro agli scafisti di Zuwara, a ovest di Tripoli, racconterà agli inquirenti. Dopo 5 o 6 ore di navigazione qualcosa non funzionò. All’inizio il giovane libico venne sentito come testimone, poi lui e i suoi due amici si ritrovarono ad essere indagati. Due anni dopo la Corte di Assise di Catania lo condannò a 30 anni di carcere, sentenza confermata in appello nel 2020 e poi in via definitiva dalla Cassazione.