IL PROCESSO
Otto anni in Appello per Paolo Colianni: il caso che scuote Enna e la Sicilia
La Corte d’Appello di Caltanissetta inasprisce la pena: esclusa ogni attenuante, rinviata al civile la quantificazione del risarcimento. Una vicenda che interroga istituzioni, sanità e comunità.
Nel silenzio ovattato dell’aula, a interrompere il fruscio delle toghe è stato solo il suono secco del dispositivo: otto anni. È la condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Caltanissetta a Paolo Colianni, medico psicoterapeuta ed ex assessore regionale alla Famiglia in Sicilia, per violenza sessuale ai danni di una minorenne di 14 anni. Una sentenza che ribalta gli equilibri del primo grado, cancellando le attenuanti generiche e rinviando a un separato giudizio civile la quantificazione del danno. Il resto dell’aula è rimasto sospeso: non c’era l’imputato, c’erano però gli sguardi fissi della famiglia della ragazza. E c’era, soprattutto, il peso di un verdetto che non si limita a punire: racconta un tradimento di fiducia dentro lo spazio più intimo che dovrebbe esistere tra un terapeuta e la sua paziente.
Il dispositivo d’appello: cosa ha stabilito e perché conta
La decisione di secondo grado arriva il 3 dicembre 2025 e porta con sé due passaggi chiave. Primo: la pena sale da 5 anni e 4 mesi a 8 anni di reclusione. Secondo: vengono escluse le attenuanti generiche che in primo grado avevano contribuito al calcolo della pena. La Corte ha inoltre stabilito che la quantificazione del risarcimento spettante alla vittima e ai familiari sarà definita in sede civile, e non più nella cornice penale del processo, che in primo grado aveva fissato un indennizzo di 150.000 euro. Una scelta che sposta il baricentro del ristoro dal penale al civile, lasciando aperto un capitolo importante per la famiglia.
Dalla prima sentenza all’Appello: una cronologia essenziale
Per comprendere il significato dell’inasprimento, occorre ripercorrere i passaggi principali della vicenda giudiziaria.
- Il 29 gennaio 2025, il Tribunale di Enna condanna Paolo Colianni a 5 anni e 4 mesi con rito abbreviato per violenza sessuale su minore. In quella sede, al professionista vengono riconosciute le attenuanti generiche.
- A giugno 2025, il Gup di Enna revoca gli arresti domiciliari su richiesta della Procura, ritenendo cessate le esigenze cautelari. Nel frattempo, la Procura generale impugna la sentenza di primo grado, contestando proprio il riconoscimento delle attenuanti e la misura della pena.
- Il 17 novembre 2025, a Caltanissetta prende avvio il giudizio d’Appello: la Corte respinge la richiesta della difesa di accesso a un percorso di giustizia riparativa. Due settimane dopo, arriva il verdetto: 8 anni.
Le accuse e il quadro probatorio
Secondo gli atti d’indagine e quanto ricostruito nelle udienze, gli abusi sarebbero avvenuti durante le sedute di psicoterapia. Agli atti sono confluiti messaggi e contenuti multimediali ritenuti rilevanti dagli inquirenti, mentre la minore è stata ascoltata in incidente probatorio. Alla contestazione principale si aggiunge l’aggravante dell’abuso di autorità, legata alla posizione professionale del medico cui la ragazza era affidata. L’origine delle verifiche è stata la segnalazione dell’istituto scolastico frequentato dalla giovane, dove un’insegnante aveva colto segnali di forte disagio e attivato il protocollo. Sono tasselli che hanno composto il quadro probatorio sin dalle prime fasi, poi approdato alla condanna in primo grado e oggi confermato e aggravato in Appello.
Le parti in aula: chi c’era e cosa ha detto
Nel giorno della lettura del dispositivo, Paolo Colianni non era presente. La difesa è stata sostenuta dagli avvocati Maria Donata Licata e Pietro Granata; per la parte civile, la famiglia della ragazza è stata rappresentata dagli avvocati Teresa Starvaggi, Fabio Repici e Paolo Starvaggi. Poche parole all’uscita dal Palazzo di Giustizia: «La sentenza parla da sola», il senso delle dichiarazioni raccolte. Un silenzio che, in casi come questo, pesa quanto i discorsi.
Perché sono state escluse le attenuanti generiche
Le attenuanti generiche sono uno strumento elastico dell’ordinamento: consentono al giudice di graduare la pena in funzione della personalità dell’imputato, della condotta processuale, del contesto. In primo grado erano state concesse, contribuendo a contenere la pena in 5 anni e 4 mesi. In Appello, la Corte di Caltanissetta ha ritenuto invece più grave la condotta contestata, scegliendo di non riconoscere attenuazioni ulteriori. La decisione si inserisce in un contesto già segnato dalla critica della Procura generale alla misura della pena e al trattamento di favore percepito, che aveva alimentato il ricorso. Il risultato è una condanna a 8 anni, corrispondente a un giudizio di maggiore severità sul fatto e sulla sua offensività.
Il rinvio al civile per i danni: cosa cambia per la vittima
Non è un dettaglio tecnico. In primo grado, il Tribunale di Enna aveva fissato in 150.000 euro l’indennizzo a titolo di risarcimento del danno. Oggi, la Corte d’Appello decide di stralciare la quantificazione e rinviarla a un giudizio civile. Per la famiglia significa dover affrontare un nuovo binario processuale per veder riconosciuto il danno subito; per l’ordinamento, vuol dire riportare la liquidazione nella sede che, spesso, consente un approfondimento più ampio su danno biologico, danno morale e perdita di chance. È una strada più lunga, ma potenzialmente più aderente alla specificità dei pregiudizi sofferti.
La giustizia riparativa negata: un segnale dei giudici
Nel corso del giudizio d’Appello, la difesa di Colianni ha chiesto l’accesso a un percorso di giustizia riparativa, tema sempre più presente nel dibattito penalistico contemporaneo. La Corte ha detto di no. Una scelta che va letta alla luce della gravità degli addebiti e della posizione di vulnerabilità della vittima: negli orientamenti più recenti, i giudici tendono a considerare la riparazione come strumento utile ma non sempre compatibile con reati che implicano un forte squilibrio relazionale e un abuso di fiducia strutturale, come quello tra terapeuta e paziente minorenne.
Il profilo pubblico dell’imputato: un ex assessore e un medico conosciuto
La notizia ha avuto eco anche oltre Enna perché Paolo Colianni non è solo un professionista sanitario, ma anche un ex assessore regionale alla Famiglia. Il suo incarico risale alla XIV legislatura del governo regionale, con delega a Famiglia, politiche sociali e autonomie locali, a partire dal 7 luglio 2006. È un dettaglio biografico che spiega la risonanza del caso: quando una figura istituzionale viene coinvolta in reati che toccano i minori, la percezione pubblica della fiducia nelle istituzioni viene messa a dura prova.
Il ritorno in libertà e il percorso processuale
Dopo la condanna in primo grado, Colianni aveva trascorso un periodo ai domiciliari; nel giugno 2025, su richiesta della Procura di Enna, il Gup ha disposto la revoca della misura, ritenendo cessate le esigenze cautelari. In parallelo, la Procura generale aveva impugnato la sentenza, ritenendo troppo lieve la pena e contestando le attenuanti. La scarcerazione non anticipava l’esito del merito: il processo d’Appello ha poi seguito il suo corso fino alla sentenza odierna, con un netto aumento della pena. Una dinamica che mostra come, nel nostro sistema, le misure cautelari siano autonome rispetto al giudizio di colpevolezza: si modulano su esigenze specifiche (pericolo di fuga, inquinamento probatorio, recidiva), non sull’anticipazione della pena.
Cosa significa “abuso di autorità” nel contesto terapeutico
Tra le aggravanti contestate, spicca l’abuso di autorità. In ambito sanitario e, in particolare, nella psicoterapia, l’asimmetria tra professionista e paziente è un dato strutturale: chi cura dispone di una posizione di influenza e di accesso alla vulnerabilità dell’altro. Se questa asimmetria viene piegata a fini sessuali, l’ordinamento considera l’offesa più grave. La norma tutela non solo l’integrità fisica e psichica della persona offesa, ma anche l’affidamento che la società ripone in ruoli di cura e protezione. Nei casi che coinvolgono minorenni, la gravità aumenta: il consenso non è giuridicamente valido e l’impatto psicologico può essere profondo e duraturo. Gli atti di indagine hanno valorizzato proprio questi profili.
Il ruolo delle istituzioni scolastiche: come è partita l’indagine
Determinante è stata la segnalazione della scuola della ragazza. È lì che un’insegnante ha intercettato un malessere e attivato il protocollo previsto, consentendo l’avvio delle indagini da parte della Procura di Enna. Nella routine quotidiana di un’aula scolastica, dove l’ordinario tende a nascondere l’eccezionale, la capacità di ascolto e il dovere di segnalazione diventano strumenti di prevenzione e tutela. Questo caso lo dimostra una volta di più.
Oltre la cronaca: strumenti e limiti della tutela
Un processo non basta a cancellare un trauma, ma può restituire riconoscimento e protezione. Sul piano pratico, dopo la sentenza d’Appello restano sul tavolo alcuni snodi:
- La possibile attivazione di ulteriori impugnative nei limiti di legge e delle strategie difensive.
- Il giudizio civile per la quantificazione dei danni, che potrà affrontare aspetti come la terapia di supporto, la valutazione del danno psichico e le ricadute sulla vita relazionale e scolastica della ragazza.
- La dimensione pubblica: il caso coinvolge un ex rappresentante istituzionale, e ciò pone la questione della responsabilità etica di chi esercita funzioni di guida e tutela.
Un nome noto nella politica siciliana
La storia personale dell’imputato è nota a molti in Sicilia. Medico e psicoterapeuta, Paolo Colianni è stato assessore regionale nel 2006 con delega alla Famiglia, e il suo cognome è presente ancora oggi nel dibattito pubblico, anche per ragioni diverse. Nella compagine regionale attuale, ad esempio, l’assessorato all’Energia è stato assunto nel 2025 da Francesco Colianni (omonimo, figura politica distinta), a seguito di un avvicendamento deciso dal presidente Renato Schifani. La circostanza segnala quanto il nome Colianni circoli, per motivi differenti, nella sfera pubblica regionale; è importante però evitare confusioni: i piani biografici e giudiziari sono separati.
La domanda che resta
La sentenza di Appello incide sul destino giudiziario di Paolo Colianni, ma parla anche alla comunità. Cosa si può fare perché spazi come la terapia, la scuola, i servizi sociali restino luoghi di massima sicurezza per i minori? La risposta non è solo nelle aule di giustizia: riguarda la formazione dei professionisti, i protocolli di vigilanza, la rete tra istituzioni. E riguarda l’attenzione quotidiana: perché a volte un segnale colto in classe può cambiare il corso di una vita.
I prossimi passaggi
Con la condanna a 8 anni e il rinvio al civile per i danni, il capitolo penale di secondo grado si chiude. Resterà da verificare se la difesa intenderà percorrere ulteriori strade, e come si articolerà il giudizio civile. Nel frattempo, la sentenza di Caltanissetta consegna un messaggio chiaro: l’abuso dentro una relazione di cura è un’offesa che l’ordinamento considera tra le più gravi, e su cui la giustizia, quando chiamata, può e deve alzare la voce.