il caso
La città al buio: luci a zebra e un Comune senza ufficio per intervenire
Misurazioni e risparmi ci sono, ma senza un ufficio comunale che vigili restano strisce d'ombra, rischi per i pedoni e nessuna integrazione degli impianti
La città è al buio. E l’amministrazione comunale non ha ancora trovato il modo per conciliare i buoni risultati dell’ultimo cambio appalto (Enel X, convenzione Consip «servizio luce 4») con uno dei suoi effetti che, in alcune strade e piazze, sarà pure dovuto all’adeguamento normativo in tema di dispersione e inquinamento luminoso, ma si presenta in modo semplice da sintetizzare: non si vede niente.
La sera viene voglia di consigliare a se stessi e alle persone cui si vuole bene di non indossare abiti scuri, se non si vuole rischiare seriamente di essere presi in pieno da un’auto mentre si attraversa la strada. L’effetto ha anche un impatto deprimente sullo stato d’animo collettivo: basta ascoltare chiunque per avere contezza di questo. Al calare del sole, in moltissime parti della città si ha la sensazione di piombare in uno di quei fumetti noir angosciosi, senza nemmeno il riscatto di un superpotere.
La soluzione, a quanto è riuscita a carpire questa testata da contatti dentro e fuori Palazzo Vermexio, potrebbe essere a portata di mano e derivare dalla seguente equazione. Il gestore è tenuto per contratto a effettuare campagne di misurazione dell’illuminazione: se questa risponde ai requisiti di legge, è il Comune, se vuole, a dover progettare un modo per integrarla; in caso contrario deve sollecitare il gestore stesso a trovare una soluzione.
In pratica, alla collaborazione (che pare ci sia) da parte del gestore — che starebbe assicurando un risparmio alle casse dell’ente, visto che oltre alla fornitura di energia elettrica offre gestione e conduzione degli impianti, manutenzione ordinaria e straordinaria, interventi di riqualificazione energetica, innovazione tecnologica e adeguamento normativo — dovrebbe corrispondere un’attenta e continua vigilanza del Comune, atta a intervenire o sollecitare.
Praticamente servirebbe un ufficio che si occupi solo di questo. C’è? La domanda è retorica. Ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la città è al buio, tutti lo sanno, lo stesso sindaco se n’è lamentato più volte, ma soluzioni non se ne vedono.
Due esempi su tutti: i viali (come Teracati) e la Borgata. Con una premessa: il concetto di illuminazione pubblica è più complesso di quanto si pensi. C’è quella per manto stradale e marciapiede, le piazze, l’illuminazione artistica, le luminarie ecc. Ognuna con parametri di lumen diversi da rispettare.
A quanto risulta, in una strada come via Nazionale a Cassibile (che equivale, per parametri, a viale Teracati) è stata eseguita la campagna di misurazione. Non essendo risultata sufficiente, il Comune ha ottenuto dal gestore un’integrazione. Se di corpi luminosi o di intensità non è dato sapere, ma il problema si è risolto.
Ecco: perché nessuno fa lo stesso con viale Teracati (o corso Gelone, o viale Tica ecc.)? E torniamo al punto: l’assenza di un ufficio comunale apposito, un interlocutore fisso che, in contraddittorio con il gestore, si batta per far risolvere le criticità al privato o all’ente stesso.
La Borgata è l’esempio più eclatante. Come ormai è noto, le nuove illuminazioni sono studiate per non disperdere luce, proiettandola solo in basso e sul posto. Questo fa sì che ci sia luce solo sotto il corpo illuminante, mentre tra uno e l’altro regna l’assoluto buio. Si ottiene così l’effetto «a zebra»: strisce di luce e strisce di buio.
Il buio è predominante nel rione perché i corpi illuminanti sono troppo distanti l’uno dall’altro, quindi si dovrebbe procedere a un’integrazione e infittimento degli stessi. Tutti sanno che è necessario, ma non lo si fa mai. Perché? E torniamo ancora una volta alla necessità di una interlocuzione costante da parte del Comune, che evidentemente non c’è.