la storia
Piera e Pet, l’amore che resiste alla strada
La vita di una donna senza casa e del suo barboncino: otto mesi di notti all’aperto, il sogno di un rifugio, la paura che le tolgano l’unico affetto rimasto: «Io non ho nessuno, ma ho lui. E finché c’è, vado avanti»
«Non è che mi tolgono Pet?». È il primo pensiero di Piera, 59 anni, barbona dai piedi sporchi nelle scarpe aperte in pieno novembre e il cuore pulito e confuso. «Pet è il barboncino che mi segue come la coda di una cometa, col suo calore quasi umano e la dedizione di un figlio». «La mia unica famiglia», sorride per un attimo Piera, che poi non smetterà per tutta l’intervista di tirare su col naso un pianto che non riesce a frenare.
Piera siede per terra sul marciapiede di Corso Gelone, tra cuori che le poggiano nel piattino qualche moneta e occhi accigliati di disapprovazione. «Nessuno mi tratta male – ammette – ma nessuno si ferma davvero a sentire come sto». Sta male, Piera, trascinandosi la sera dentro gli androni dei palazzi, «sotto le colonne di San Giovanni, alla Cassa Mutua», all’erta perché non la buttino fuori, lavandosi come può nel parcheggio di via Von Platen.
Ha una storia familiare, dice, d’inferno, due genitori anaffettivi che non l’amavano, una lunga esperienza in brefotrofio, poi in un collegio durissimo, una sorella amatissima scomparsa lasciando un vuoto incolmabile, nipoti che non la rispettano, affittanti che la rifiutano, signore per bene che per la strada si tappano il naso al suo passaggio ma anche bambine che puntano i piedi fino a quando la madre non le lascia nel piatto qualche euro.
Nella borsa di plastica Piera raccoglie il suo piccolo mondo, una bottiglia d’acqua, dei biscotti, i pezzi di rosticceria che ogni tanto qualcuno le regala, e un particolare che strappa il cuore a notarlo: per Pet non manca mai il cibo, si accetta ciò che ti donano, e c’è chi indifferente lascia una scatoletta di cibo per gatti. Pet si accontenta ed è grato lo stesso, si è abituato al pesce come Piera alla fame, agli stenti, al freddo, alla paura.
Il sogno di Piera è una piccola stanza dove poter stare con il suo cane, dove trovare riparo la notte, dove poter usare un bagno come tutti: «invece di farla anche per strada, nascosta, se serve, mi vergogno ma non posso fare altro».
Adesso che arriverà il Natale, le giornate saranno ancora più tristi, il freddo più ficcante, la solitudine una bestia più feroce che non smette di azzannarti nemmeno un attimo. «Non conosco più l’amore – sussurra – e non mi fido di nessuno. Quando ho pensato di aver trovato un uomo che mi volesse bene – confida – ho ricevuto solo botte. Me ne sono scappata perché non voleva che Pet stesse con noi».
Piera racconta che il cane «ha il suo microchip, posso non mangiare un giorno ma lui deve essere in regola perché non sopravvivrei se me lo togliessero». Ha parlato con le assistenti sociali, dice, ma con un cane «posto non me ne trovano».
In attesa che il Comune si faccia vivo, con lei che da almeno 8 mesi non dorme su un letto, Pierina risponde a una domanda su Dio: «Se me lo trovassi davanti per un minuto, gli direi soltanto “aiutami”. A lui basterebbe guardarmi negli occhi per capire che sono una persona dal cuore buono, triste e depressa, e mi darebbe una mano. Quella che dovrebbero darmi gli esseri umani. Io ci spero».