IL PERSONAGGIO
Dal principe Andrea al presidente Trump: chi era Virginia Giuffre e perché la sua voce pesa ancora
La donna, che si è tolta la vita il 25 aprile 2025, non può più dire la sua: ma in via non aveva mai accusato il tycoon
All’inizio è solo una riga storta in una mail. Un riferimento in codice, un nome oscurato. E quella frase, sgraziata e inquietante: “il cane che non ha abbaiato”. È aprile del 2011 e Jeffrey Epstein scrive a Ghislaine Maxwell di un uomo potente — Donald Trump — che avrebbe passato “ore” in casa sua insieme a una “vittima”. La donna, sostengono oggi alcuni membri del Congresso, sarebbe Virginia Giuffre. Ma Virginia, 41 anni, non può più dire la sua: si è tolta la vita il 25 aprile 2025 nella sua casa nell’Australia occidentale. Da morta, però, continua a far domande ai vivi: con un memoriale postumo e con il suo nome che riemerge, ostinato, nelle carte.
Origini italiane
Per oltre vent’anni, Virginia Roberts Giuffre - chiare origini italiane - ha raccontato di essere stata reclutata da Ghislaine Maxwell quando lavorava alla spa di Mar‑a‑Lago a Palm Beach. Ancora minorenne, avrebbe subìto abusi e sfruttamento sessuale da parte di Epstein e della sua rete, ed è diventata la più nota tra le sopravvissute che hanno denunciato quello schema. Nel 2021 citò in giudizio a New York il principe Andrea, accusandolo di averla stuprata quando aveva 17 anni; lui ha sempre negato. Nel febbraio 2022 le parti hanno trovato un accordo extragiudiziale: l’importo resta ufficialmente non divulgato, ma le stime della stampa britannica parlarono di cifre fino a £12 milioni, con una “donazione sostanziale” alla charity di Giuffre per le vittime. Nessuna ammissione di colpa da parte del duca, ma il riconoscimento della sofferenza delle vittime di Epstein.
Dopo la morte di Epstein nel 2019, il racconto di Virginia è stato un filo che ha tenuto insieme i nomi, le foto, le contraddizioni. Il memoriale postumo — pubblicato da Knopf il 21 ottobre 2025 col titolo “Nobody’s Girl” — ha rilanciato quel filo, aggiungendo dettagli sul grooming, sulle pressioni e su tre incontri sessuali con Andrea (sempre respinti dal diretto interessato). Il libro, completato con la giornalista Amy Wallace, non introduce accuse nuove contro Trump: al contrario, Giuffre in passato aveva detto che con lui “non le fece nulla di male” e “non poteva essere più amichevole”. Ma la sua biografia, e il suo ruolo di testimone-chiave, tornano oggi al centro per un altro motivo: quelle email.
Le nuove carte: cosa dicono davvero le email di Epstein su Trump
La scintilla delle ultime ore è l’iniziativa dei Democratici alla Camera americana: hanno diffuso parte di un pacchetto di circa 23.000 documenti consegnati dall’“estate” di Epstein alla House Oversight Committee. In una mail dell’aprile 2011 a Ghislaine Maxwell, Epstein — definendo Trump “il cane che non ha abbaiato” — sostiene che un’“altra persona” (nome oscurato) avrebbe trascorso “ore” a casa sua con l’allora tycoon. In un’altra email del 2019 a Michael Wolff, Epstein scrive che Trump “sapeva delle ragazze” e che aveva chiesto a Ghislaine di smettere. La Casa Bianca bolla la pubblicazione come “narrativa fasulla” e, identificando la vittima in Virginia Giuffre, ricorda che lei stessa aveva dichiarato di non aver subito comportamenti impropri da Trump. Trump nega ogni illecito e rivendica di aver messo al bando Epstein da Mar‑a‑Lago anni fa. Sono affermazioni che alimentano un contenzioso politico, ma che, prese in sé, non provano reati: sono email di parte che suggeriscono conoscenze, frequentazioni e consapevolezze, non capo d’imputazione.
Nel merito, resta un punto chiave: anche in sede giudiziaria pregressa Giuffre non ha accusato Trump di abusi, e in deposizioni passate disse di non aver avuto rapporti con lui, né di essere a conoscenza di sue condotte sessuali con altre ragazze nell’orbita di Epstein. È un tassello che la Casa Bianca enfatizza nel respingere l’operazione documentale dei Democratici, e che va riportato con chiarezza per i lettori.
Il nodo Andrea: dal patteggiamento alla decadenza
Sul fronte britannico, il “terremoto Giuffre” ha avuto conseguenze senza precedenti. Dopo anni di sospensione, tra ottobre e novembre 2025 Carlo III ha avviato e formalizzato la rimozione degli ultimi titoli al fratello: Andrew Mountbatten Windsor non è più principe, né Duca di York, né ha il diritto allo stile di Sua Altezza Reale. Con un atto di Letters Patent del 3 novembre 2025, è stata sancita la decadenza anche formale e l’uscita dalla Royal Lodge. Una decisione spinta dal clima creato dal libro di Giuffre, dalle nuove richieste di chiarimenti su Epstein e da pressioni politiche e mediatiche. Andrea continua a negare le accuse e a ribadire che l’accordo del 2022 non contiene ammissioni. Resta tuttavia l’effetto simbolico: l’idea che “una ragazza comune americana” abbia piegato un principe britannico, come ha sottolineato la famiglia di Virginia.
Epstein e Maxwell: il contesto giudiziario che non si può ignorare
Il quadro non si capisce senza ricordare alcuni fatti processuali consolidati:
- Ghislaine Maxwell è stata condannata il 28 giugno 2022 a 20 anni per cospirazione e traffico sessuale di minori in concorso con Epstein. È detenuta in un carcere federale.
- Jeffrey Epstein si è tolto la vita nel 2019 in un penitenziario di New York, mentre attendeva un processo federale per traffico sessuale. Prima, nel 2008, aveva ottenuto in Florida un non‑prosecution agreement che gli permise di evitare i capi d’accusa federali e di scontare 13 mesi con ampio lavoro esterno: un patto definito in seguito dal Dipartimento di Giustizia come frutto di “poor judgment” da parte dell’allora procuratore Alexander Acosta, sebbene non qualificato come “misconduct”. Quel dossier resta un’ombra lunga sul sistema.
È su questo terreno che le nuove email fanno rumore: non aggiungono un reato provato, ma riattivano domande su chi sapesse cosa e quando. Anche perché Trump, nelle ultime dichiarazioni pubbliche, ha rivendicato di aver rotto con Epstein e di averlo bandito da Mar‑a‑Lago dopo che il finanziere — sostiene il Presidente — gli avrebbe “rubato” personale femminile dalla spa del club, includendo la stessa Giuffre. Una narrativa che la Casa Bianca ha ripetuto come linea ufficiale e che alcuni media americani hanno rilanciato, mentre altri la trattano con prudenza storiografica.
Che cosa resta provato, che cosa resta controverso
- Resta provato, per sentenze e atti pubblici, che la rete messa in piedi da Epstein e Maxwell abbia sfruttato ragazze minorenni, con modalità sistemiche e con protezioni ai piani alti. Maxwell è stata condannata. Epstein è morto in carcere mentre attendeva il processo.
- Resta provato che Virginia Giuffre ha citato in giudizio Andrea e che nel 2022 si è chiuso un accordo extragiudiziale senza ammissione di colpa; la cifra non è ufficiale, ma autorevoli testate hanno parlato di £12 milioni come stima, altre di cifre inferiori.
- Resta provato che Giuffre è morta il 25 aprile 2025 per suicidio in Australia, secondo fonti ufficiali e familiari. La sua scomparsa ha avuto un impatto enorme, anche emotivo, sul movimento delle sopravvissute.
- Restano controverse le email su Trump: sono state rese pubbliche in modo selettivo dai Democratici del Congresso; la Casa Bianca parla di strumentalizzazione; Maxwell, in passato, ha dichiarato di non aver mai visto Trump comportarsi in modo inappropriato. Le mail, da sole, non bastano a dimostrare reati. Ma bastano a giustificare ulteriori verifiche e a ricordare che il rapporto Trump‑Epstein, documentato anche da una celebre citazione del 2002 (“gli piacciono le donne belle e giovani”), non è un’invenzione dell’ultima ora.
Dentro il memoriale: una voce che chiede responsabilità
“Nobody’s Girl” non è un catalogo di nomi: è la mappa di un sistema. Giuffre racconta l’adolescenza rubata, il grooming, i “massaggi” come porta d’ingresso all’abuso, la cooptazione di altre ragazze. Racconta Londra 2001, New York, l’isola dei Caraibi. Parla di paura, dipendenza, vergogna. E parla di resilienza, la parola forse più abusata eppure qui inevitabile: Virginia diventa attivista, costruisce un network di supporto, e — nonostante errori, cadute e contraddizioni — costringe il mondo a guardare dove per anni non ha voluto vedere. Il libro è stato pubblicato postumo perché lei stessa, in vita, aveva espresso la volontà che accadesse comunque.

Il memoriale ha avuto un effetto palpabile sulla monarchia britannica, come sull’agenda politica americana. In Regno Unito, ha offerto la cornice narrativa e morale che ha preceduto la rimozione dei titoli ad Andrea. Negli Stati Uniti, ha rinfocolato la pressione per la trasparenza integrale sugli archivi del caso — a partire dal NPA del 2008 — e ha spinto il Congresso a muoversi (sebbene in un clima di contrapposizione partigiana).
Trump, Epstein e la memoria corta delle élite
C’è un elemento che torna circolarmente in ogni stagione di questa storia: la vicinanza sociale tra Epstein e pezzi di élite politica e finanziaria. Le foto di Mar‑a‑Lago negli anni ’90, la famosa frase attribuita a Trump nel 2002 su “donne sulla fascia d’età più giovane”, gli scatti con Bill Clinton, i voli sul jet privato. Sono fatti di contesto, spesso precedenti alla piena emersione giudiziaria dei crimini, e non sono di per sé prova di complicità. Ma spiegano perché ogni nuova email o documento diventi deflagrante: perché parla di ambiente, frequentazioni, orizzonti di visibilità. È qui che si inserisce la difesa attuale di Trump — “lo bandii dal club” — che alcuni organi di stampa hanno ripreso, altri hanno messo in prospettiva rispetto alle versioni circolate dal 2019 in poi.
Perché il caso Giuffre ci riguarda ancora
Alla fine, resta una verità amara: senza la voce di Virginia, molto di ciò che sappiamo non lo sapremmo. Non sapremmo come il potere si protegga, come istituzioni e professionisti abbiano chiuso gli occhi, come un accordo giudiziario possa diventare scudo invece che giustizia. La definizione di “poor judgment” con cui il Dipartimento di Giustizia ha liquidato il patto del 2008 non basta a ricomporre la fiducia: è una nota a margine, non una riparazione. Eppure, in quella nota a margine, c’è il punto: le istituzioni devono rendere conto — fino in fondo, e non a giorni alterni — di come hanno permesso che Jeffrey Epstein costruisse un mercato di minorenni protetto dalla ricchezza e dalla reputazione.
Per questo le email su Trump non sono l’ultima parola ma nemmeno un non‑fatto: sono documenti che alimentano la richiesta di trasparenza totale. Per questo l’accordo del 2022 tra Andrea e Giuffre non chiude davvero la vicenda: la estrae dal tribunale, ma non dal giudizio pubblico. Per questo il memoriale di Virginia è più che un libro: è la traccia che una donna ha lasciato per continuare a battere contro le zone d’ombra quando lei non poteva più farlo.

In controluce, rimane il senso dell’opera di Virginia Giuffre: una storia personale che ha scoperchiato un sistema. Che abbia “buttato giù un principe” o solo tolto l’alibi a un’istituzione, resterà materia per gli storici. Il giornalismo, oggi, ha un compito più semplice e più duro: tenere aperti i fascicoli, pesare le parole, distinguere i fatti provati dalle ipotesi, ricordando che dietro ogni documento ci sono corpi e vite.