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Editoriale

La deriva violenta, la scorciatoia dell'Esercito

La tragedia di Palermo e le risposte che riguardano tutti

Antonello Piraneo

12 Ottobre 2025, 20:35

21:19

La disperazione della madre di Paolo Taormina

La disperazione della madre di Paolo Taormina

È accaduto a Palermo, ancora a Palermo. Ma, è bene dirlo subito, sarebbe potuto accadere ovunque ci sia una zona di cosiddetta “movida”, termine svilito rispetto al suo significato originario di derivazione spagnola per simboleggiare la voglia di vivere per la ritrovata democrazia. Con la parola “movida”, ormai abusata, oggi si indica semplicemente un’area ad alta densità di locali e localini - anche di dubbia qualità - che specie nel weekend si gonfiano sino a scoppiare con il fragore di una pistolettata. Non a caso le cronache della domenica sempre più spesso sono un bollettino di inciviltà, riportando notizie di risse e scippi, quando va bene, di tragedie che si consumano, quando il destino vuole così. E non per un accidente della vita, ma perché un colpo di pistola è stato comunque sparato, perché un fendente è stato comunque inferto. Palermo in questo non differisce da qualsiasi altra città complessa o da un paesone periferico: Willy fu picchiato a morte a Colleferro, 20mila abitanti alle porte di Roma.

Una violenza diffusa con cui bisogna tristemente confrontarsi. Qualcosa di più e di diverso dal malessere sociale che attraversa trasversalmente giovani e giovanissimi. Una deriva che si specchia negli incidenti fra ultras e delinquenti di colori diversi ma uniti dalla bandiera della imbecillità che si fa beffa di qualsiasi norma ad hoc: se le tifoserie (?!) non sono gemellate lo scontro è pressoché sicuro, basta che si incrocino, come ricordano le immagini di quanto avvenuto lungo l’autostrada fra “tifosi” del Catania e della Casertana.


L’assurda morte del ventenne di Palermo, colpevole sostanzialmente di non essersi fatto i cazzi suoi nelle notti che pericolosamente si allungano a dismisura, conferma quella verità denunciata da inquirenti, forze dell’ordine e commissioni antimafia: circolano tante, troppe armi. Camminare con una pistola o un coltello non capita soltanto a chi è dedito al crimine o lambisce quei contesti, come parrebbe per l’omicida di Palermo. È un surplus di machismo, è una sovercheria, è disprezzo della vita. È una “americanizzazione” della società, qui sbagliata, e che fa paura.


Di fronte a questi dati incontrovertibili non si può far spallucce né gettarla solo in becera e strumentale polemica politica. Perché c’è pure questa tragedia nella tragedia: la speculazione a cadavere caldo e sulle lacrime di una madre disperata, riducendo la piaga della violenza a grave e eppur banale fattore di disamministrazione: un ragazzo ucciso in strada come fosse un tombino ostruito.

Non spetta a un sindaco frenare il commercio di armi né indagare su chi sta in strada. Semmai è colpa di un sindaco, di una visione corta del governo di una città, svendere interi pezzi di territorio alle insegne dei pub e ai riti degli “apericena”, nell’illusione che tutto questo, un serpentone di giovani e giovinastri, porti ricchezza e coincida con una comunità viva e vivace. Ma - e qui sta il nodo della questione - è colpa di tutti se in centro chiudono le librerie, i cinema e i teatri e aprono soltanto lounge bar e negozi di t-shirt e slip e reggiseni. Se succede questo, se si chiede la militarizzazione di una città con l’invio dell’esercito, significa che abbiamo un problema. Tutti.