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Pasquale Pistorio e il modello di sviluppo insuperato

Per dire quanto Pasquale Pistorio fosse avanti agli altri, centometrista e gigante in mezzo a lumache e pigmei, il pensiero - solo uno dei tanti che affiorano appena saputo della sua scomparsa - fa riavvolgere il nastro a una serata di gala nel salone del Municipio di Stoccolma, 18 settembre 1997

Antonello Piraneo

30 Settembre 2025, 14:21

30 Settembre 2025, 14:21

Morto Pistorio, portò la Stm tra aziende leader mondiali

Pasquale Pistorio in una foto di archivio. ANSA/PAOLO SALMOIRAGO

Per dire quanto Pasquale Pistorio fosse avanti agli altri, centometrista e gigante in mezzo a lumache e pigmei, il pensiero – solo uno dei tanti che affiorano appena saputo della sua scomparsa – fa riavvolgere il nastro a una serata di gala nel salone del Municipio di Stoccolma, 18 settembre 1997. Prima di ricevere dalla regina di Svezia una sorta di Nobel per l’elettronica, ci prese sottobraccio, contento di poter intercalare la discussione parlando anche in siciliano, e ci disse: «Stati Uniti ed Europa, insomma l’Occidente, comincino a capire che dovranno confrontarsi con i Paesi del cartello BRICS». Lo predisse quando quasi tutti pensavano che l’acronimo BRICS si riferisse a qualcosa di legato al bricolage e non alla pressione che sarebbe arrivata da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

Un episodio sicuramente marginale, la parte per il tutto, per dire e ricordare chi è stato Pasquale Pistorio. E rimpiangerlo: vent’anni fa, intervistato nel giorno del suo pensionamento “formale” (un uomo alla Pistorio non va mai in pensione, semmai signorilmente fa qualche passo di lato e si dà altri obiettivi) stigmatizzava l’ipotesi di dazi alla Cina e avvertiva dei rischi a catena per un mondo già globalizzato che pensava di alzare muri verso i nuovi Potenti.

Un visionario pragmatico, Pasquale Pistorio, un ossimoro che vuole esplicitare la capacità di questo manager illuminato – venuto dall’entroterra siciliano e poi cittadino del mondo e ambasciatore del genio siciliano – di aprire gli orizzonti più ampi partendo da analisi fattuali, da quelle competenze che oggi si trovano un tanto al chilo, basta avere in tasca la tessera che si ritiene giusta nel momento che si reputa opportuno.

Pistorio, l’Ingegnere, è stato colui che negli anni Ottanta fece di uno stabilimento morente, l’allora SGS Ates che produceva transistor ormai obsoleti alla zona industriale di Catania, un modello di sviluppo insuperato per il Sud, capovolgendo il paradigma di quel sito: chiamato dalla Stet – “archeologia” delle partecipazioni statali – al capezzale della SGS Ates dopo una brillante esperienza in Motorola tra mezza Europa e States, anziché chiudere bottega o farne un fabbrica di pentole come suggerivano i sindacati locali per salvare (?!) l’occupazione, si spinse molto ma molto più in là, ovvero dove soltanto lui e la sua “squadra” – dal mazzo prendiamo le carte di Salvatore Castorina, amico e collega di studi in Ingegneria al Politecnico di Torino, e di Carmelo Papa, “delfino” di Castiglione di Sicilia pescato nell’Oceano dello sviluppo tecnologico – riuscivano a vedere il futuro: puntare sulle competenze dei cervelli che venivano dall’Università di Catania, invogliarli a restare e non a emigrare in altri mondi, spostare la fase di back end, il mero assemblaggio dei componenti elettronici, e puntare tutto sul front end, la ricerca e sviluppo, proprio in virtù del capitale umano d’eccellenza, che qui aveva un costo inferiore, “protetto” anche da incentivi mirati e benedetti. Chiedeva più sicurezza e un contesto favorevole. I pianeti si allinearono, con l’allora sindaco Enzo Bianco il legame fu saldo, con l’Università e il territorio il patto fu di ferro, e l’intuizione vincente. Un’onda lunga che non si ritrae trent’anni e passa dopo.

Quel sito era famoso per le perdite (il 120% del fatturato agli inizi degli anni Ottanta) e per il «27 rosa», la linea di bus dedicata alle lavoratrici per evitare che su altri mezzi pubblici venissero palpeggiate recandosi allo stabilimento di Pantano d’Arci, storia raccontata da Nanni Loy. Pistorio, d’intesa con Roma, portò la SGS Ates in dote ai partner francesi per un matrimonio da cui nacque la SGS-Thomson, oggi STMicroelectronics, che presto divenne stella polare nel firmamento della microelettronica che muove il mondo.

Fu il miracolo dell’«Etna Valley», definizione che richiamava la Silicon Valley e coniata per questo giornale da chi scrive – voglioso di raccontare da cittadino e futuro padre prima ancora che da giornalista – un’altra Sicilia nei mesi successivi alla tragica stagione delle stragi di mafia.
Ecco, se esiste quest’altra Sicilia, quella che oggi si ingegna esplorando senza rossore possibili praterie di sviluppo, che coccola e corteggia i suoi giovani cervelli ambendo a farli restare o tornare, che ha corsi universitari specifici per la microelettronica, che viene scelta dall’Europa per la più grande gigafactory del Continente, ecco se esiste tutto questo lo si deve in fondo a Pasquale Pistorio.

Una figura anche naif con quei baffoni da spaghetti western più che da grisaglia manageriale e il suo inglese dal vocabolario sconfinato ma dall’inflessione che marchiava la sua origine sicula.
Un personaggio a tutto tondo, irripetibile, che spinse i francesi di «Antenne 2» – venuti in Italia per documentare lo stato dell’arte dell’industria italiana – a tagliare senza esitazione un po’ di girato con Gianni Agnelli e con Carlo De Benedetti per dare più spazio all’Ingegnere di San Filippo d’Agira. Pistorio portò la troupe prima ancora che tra le meraviglie della tecnologia a Santa Maria la Scala, a conoscere profumi e sapori del mare di Sicilia (allora si mangiava anche il mauro, pensate).

Fu anche così che Francesco Rutelli, candidato premier nel 2001 in un’impossibile campagna elettorale contro Silvio Berlusconi, volle Pistorio, testimonial di una storia di conclamato successo, accanto a sé nel salotto di Bruno Vespa. Qualcuno, che nell’antropologia di sciasciana memoria starebbe tra gli ominicchi e i quaquaraquà, storse il naso, sottovoce rimproverava al colosso italo-francese di avere fagocitato tutti i fondi della legge 488 e di campare di rendita sugli incentivi, salvo poi fare inversione a U e riconoscere tardivamente, alcuni praticamente fuori tempo massimo, il merito di avere costruito a Catania ciò che fu la Fiat per Torino. Solo che la Fiat a Torino è un ricordo e l’Etna Valley una realtà viva, forte di 5.400 dipendenti diretti e pronta a produrre microchip su «wafer» in carburo di silicio.
Ingegnere Pistorio, è stato un privilegio.