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Perché le donne vivono più degli uomini? Dalla scienza arriva una risposta sorprendente

C'entra l'evoluzione e nonostante i progressi della medicina la differenza è destinata a durare ancora a lungo

Fabio Russello

01 Ottobre 2025, 20:23

20:24

Perché le donne vivono più degli uomini: dalla scienza arriva una risposta sorprendente

Il fenomeno, documentato nella maggior parte dei Paesi e lungo diverse epoche, si è attenuato in alcuni contesti grazie ai progressi della medicina e al miglioramento delle condizioni di vita. Ma un nuovo studio suggerisce che il divario non è destinato a scomparire: le sue origini sono evolutive e si riscontrano in numerose specie animali. A sostenerlo è un consorzio internazionale guidato da ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, autore della più ampia analisi finora condotta sulle differenze tra i sessi nella longevità di mammiferi e uccelli. I risultati offrono una chiave di lettura inedita per un interrogativo classico della biologia: perché maschi e femmine invecchiano in modo diverso.

Il confronto tra le due grandi classi faunistiche è netto. Su 1.176 specie considerate, tra i mammiferi nel 72% dei casi le femmine vivono in media il 13% più dei maschi; tra gli uccelli, al contrario, nel 68% delle specie i maschi superano le femmine di circa il 5%. Nei mammiferi, un vantaggio femminile marcato è documentato, ad esempio, in babbuini e gorilla. Lo schema non è però universale: in molte specie di uccelli, insetti e rettili risultano più longevi i maschi.

Una possibile spiegazione chiama in causa i cromosomi sessuali. Nei mammiferi le femmine sono XX, mentre i maschi sono XY (eterogametici): disporre di due cromosomi X potrebbe offrire una protezione contro mutazioni nocive. Negli uccelli il sistema è invertito, con femmine eterogametiche. La variabilità resta tuttavia elevata.

“Alcune specie hanno mostrato l’andamento opposto a quello atteso”, osserva l’autrice principale Johanna Stärk. “Ad esempio, in molti rapaci le femmine sono più grandi e più longeve dei maschi. Quindi i cromosomi sessuali possono essere solo una parte della questione”.

Accanto alla genetica, pesano le strategie riproduttive. La selezione sessuale spinge soprattutto i maschi a sviluppare tratti che aumentano il successo riproduttivo a costo della sopravvivenza. Lo studio conferma l’ipotesi: nei mammiferi poligini, dove la competizione tra maschi è intensa, questi tendono a morire prima delle femmine. Molti uccelli sono invece monogami, con minore pressione competitiva e, di conseguenza, maschi spesso più longevi. In generale, nelle specie monogame lo scarto si riduce, mentre la poliginia e un marcato dimorfismo corporeo si associano a un vantaggio femminile più pronunciato.

Anche l’investimento nelle cure parentali sembra influire: il sesso che contribuisce maggiormente all’allevamento della prole — tra i mammiferi, di norma le femmine — tende a vivere più a lungo. Nelle specie longeve come i primati, ciò rappresenta verosimilmente un vantaggio selettivo: le femmine sopravvivono finché i piccoli non sono indipendenti o sessualmente maturi.

Un’ulteriore ipotesi chiama in causa le pressioni ambientalipredazione, patogeni, climi estremi — nel determinare le disparità tra i sessi. Per metterla alla prova, i ricercatori hanno esaminato anche popolazioni in zoo, dove tali pressioni sono attenuate. Le differenze nella durata della vita emergono comunque anche in condizioni protette: il confronto tra esemplari in cattività e in natura mostra che, sebbene negli zoo il divario si riduca, raramente si annulla. Un quadro che richiama quanto osservato nell’uomo, dove i progressi sanitari hanno assottigliato, ma non cancellato, la distanza tra i sessi.

Nel complesso, i dati indicano che le disparità di sopravvivenza tra maschi e femmine sono profondamente radicate nei processi evolutivi, modellate dalla selezione sessuale e dall’investimento genitoriale, con un possibile contributo dei diversi sistemi di determinazione del sesso. I fattori ambientali ne modulano l’entità, ma non bastano a eliminarle. Non si tratta dunque di un semplice prodotto dell’ambiente: queste asimmetrie fanno parte della nostra storia evolutiva e, con ogni probabilità, continueranno a manifestarsi anche in futuro.